Quando il corpo tradisce l’artista

 

S. Carnevale   D. Ferrarese   A. Martini D.Belella   E. Orlandelli

 

Il contributo che presentiamo nasce non solo dalla nostra passione personale per l’arte, in tutte le sue forme ed espressioni, ma vuole essere un’opportunità ed un pre-testo per l’approfondimento e la riflessione nella Clinica Psicosomatica. Possiamo affermare, infatti, che un’opera d’arte nasce dalla combinazione tra ciò che l’artista esperisce attraverso i sensi e da come interpreta quanto gli viene comunicato dal mondo esterno, esprimendo sensazioni ed emozioni che nascono prima ancora della possibilità di verbalizzarle. Tali stimoli, quindi, in qualche modo, risentono del filtro cognitivo ed affettivo dell’artista che li percepisce e li traduce in opere d’arte. In questo processo sia l’acquisizione dell’informazione sensoriale, sia la sua elaborazione, possono essere modificate da cause patologiche, testimoniando come la storia di vita e di malattia dell’artista siano parte integrante della sua opera. Ciò può essere evidente sia nella funzione esecutiva del processo creativo, in cui molto spesso è l’organo o la parte del corpo deputata  alla realizzazione dell’opera ad essere danneggiato o disfunzionante, ma anche in processi che riguardano elaborazioni a carattere centrale che implicano l’influenza della sfera cognitiva, relazionale ed emozionale della personalità dell’artista.

Da tale premessa è nata la riflessione sulla vita di artisti e personalità creative accomunati dalla caratteristica di essere in qualche modo traditi da un corpo che, ad un certo punto, non ha rappresentato più il mezzo creativo e lo strumento espressivo della loro genialità ma, al contrario, una pesante e dolorosa barriera alla realizzazione della loro opera. Ci siamo chiesti quindi cosa abbiano in comune artisti come W. A. Mozart, L. V. Beethoven, R. Schumann, P. A. Renoir, P. P. Rubens e lo stesso S. Freud, padre della Psicoanalisi. Ognuno di loro si è dovuto confrontare con sintomi e patologie che in qualche modo hanno ostacolato o, paradossalmente, favorito la loro arte colpendo proprio, come affermato nell’introduzione, gli organi necessari all’espressione artistica. Mozart infatti era affetto da reumatismo articolare acuto, Schumann da distonia focale, Beethoven da sordità, Renoir e Rubens da artrite reumatoide. Proprio Renoir negli ultimi anni della sua vita è stato costretto a dipingere con il pennello legato tra le dita, mentre Rubens, in uno dei suoi quadri più famosi, “Le tre Grazie”, ha rappresentato anche pittoricamente la sua malattia dipingendo la prima delle tre donne con evidenti deformità alle dita della mano destra. Lo stesso S. Freud, il creatore della “talking cure”, la terapia della parola, così definita da una sua paziente, si ammala di tumore alla mascella causato anche dal fumo dei suoi inseparabili sigari.

Lo studio e l’approfondimento della personalità dell’artista possono rappresentare un modello esplicativo proprio perché l’arte è figlia dell’inconscio. L’artista e la sua opera, nella loro unicità e irripetibilità, rappresentano le emozioni più profonde del mondo interiore in modo da renderle fruibili a livello di realtà.

Su tali premesse, in una prospettiva narrativa di riferimento, la nostra attività clinica, basata sul metodo psicodinamico, parte dalla consapevolezza che spesso la nosografia può avere l’inconveniente di irrigidire l’approccio alla persona attraverso schemi, strutture e descrizioni, e di non dare sufficientemente rilevanza al dinamismo psichico dell’individuo sul quale terapeuta e paziente progettano il percorso di cambiamento e modificazione mentale; si preferisce quindi passare da categorie diagnostiche alla singolarità della persona attraverso l’approccio patobiografico.

Lo Studio patobiografico, formulato da L. A. Chiozza, consiste in un lavoro che si realizza mediante due tipi di storia. Una clinica (che) riporta i sintomi, i segni e la evoluzione di cui il paziente ha sofferto e soffre, considerandoli come processi che derivano da una causa. L’altra biografica, (che) presta attenzione agli episodi e ai fatti della sua vita, considerandoli come scelte e tematiche il cui significato ha pure un senso nell’intero insieme di quella vita (Chiozza L.A., 1988, p. 20).

In tale prospettiva il paziente psicosomatico sarà aiutato solo quando il terapeuta lo studierà come soggetto con le proprie sofferenze che non ha potuto o saputo elaborare nel percorso della propria storia di vita.

Interessante appare anche l’approccio proposto da A. Riolo ed E. Aguglia (2008) per i quali il somatoforme non è altro che l’aumento iconico del corpo che fa male, tra demitizzazione della nosologia e un nuovo o antico modo di abitare il mondo della clinica per ascoltare identità narrative celate nel somatico.

In qualche modo quindi si potrebbe considerare, oltre che una psicogenesi ed una somatogenesi, una modalità per cui la comunicazione attraverso il corpo dolente è sintomo di un’ alterata modalità relazionale. E’ necessario tracciare quindi i principali riferimenti biografici di quel soggetto tra anamnesi clinica e storia personale alla ricerca di quel dolore originario mimetizzato tra i recessi della corporeità (Riolo A., Aguglia E., 2008).

In tal senso è presente una dimensione somatica della patologia psichica  da non intendere esclusivamente come trasposizione dello psichico nel fisico ma come espressione primaria originaria delle varie dimensioni psicopatologiche.

Prendendo quindi in esame la vita di un già citato artista, R. Schumann, abbiamo voluto raccontare la sua storia, alla ricerca di un significato da attribuire al suo sintomo, contestualizzato all’interno della sua biografia.

Il grande compositore romantico Robert Schumann (1810-1856), fin dall'età di sette anni, mostrò di possedere un profondo interesse per la musica e la letteratura. Il suo grande talento artistico non fu incoraggiato dal padre, uomo tendenzialmente depresso ed ipocondriaco, a differenza del padre di Mozart che abbandonò la sua attività per favorire la carriera del figlio. Durante l’adolescenza l'artista subì un grave lutto, dovuto alla morte della sorella maggiore, reso ancora più traumatico dal fatto che probabilmente si trattava di un suicidio. Il problema della depressione interessava in modo importante la famiglia di Schumann. Le turbe dell’umore, cui il musicista era soggetto, hanno largamente condizionato la sua vita. I periodi di depressione si susseguivano a momenti di euforia e prodigiosa attività artistica. È anche interessante notare che esisteva una precisa correlazione tra la sua incredibile creatività ed il suo umore. Infatti i mesi di intensa produttività si  alternavano a gravi episodi di depressione e, al culmine di un’ennesima crisi depressiva tentò il suicidio. Sappiamo anche che, afflitto da gravi turbe emotive durante gli studi universitari, tendeva ad abusare di alcolici. Al culmine della sua carriera artistica come pianista, sviluppò una sintomatologia diagnosticata retrospettivamente come distonia focale: un disturbo del movimento che condizionava in modo grave l'esecuzione al piano. I problemi di distonia focale localizzati alla mano destra, in modo particolare al livello del quarto e quinto dito, si inseriscono quindi in un quadro più  ampio. La distonia focale dei musicisti consiste nella difficoltà a compiere movimenti alternati di flesso-estensione, abduzione-adduzione, prono-supinazione delle dita o della mano, per una contrazione simultanea dei muscoli agonisti ed antagonisti per un dato movimento. I tentativi di riprendere il controllo motorio finiscono per aggravare ancora di più la tensione muscolare, accentuando la frustrazione. Dal punto di vista neurologico, nelle immagini di Risonanza Magnetica, in questi casi, si evidenzia una minore distanza tra le configurazioni delle dita della mano sulla corteccia somato sensitiva. Attraverso esami quali SMT, PET scanning (tomografia ad emissione di positroni), possiamo riscontrare le alterazioni a livello del SNC che confermano i dati di RMN, con coinvolgimento anomalo del sistema nervoso centrale deputato al controllo dei processi sensitivo-motori (Tempel L.W., Perlmutter J.S., 1993 ). Il disturbo affettivo può essere considerato predisponente o conseguente alla disabilità fisica,  la tensione muscolare derivante da una situazione emotivamente stressante può causare dolore e predisporre a movimenti anomali e posture errate. Non si può spiegare la depressione solo come “sintomo su base reattiva”. E' importante considerare il fenomeno della comorbilità: disturbo dell'umore-malattia organica, studiando il vissuto psicologico dell'esperienza di malattia, inserita nel quadro ampio e complesso della storia personale. Infatti quando si manifesta una patologia organica,  soprattutto se ha un andamento che tende alla cronicità, il paziente sviluppa un sentimento di perdita, relativo sia alla funzione corporea, sia alla autonomia personale (possiamo comprendere anche la dipendenza dalla terapia farmacologica). La distonia focale o compito specifica, è una malattia che tende alla cronicizzazione, porta con sé una modificazione permanente ed una ridefinizione della propria immagine corporea. La neuroplasticità, ossia le modificazioni che si verificano nella corteccia somatomotoria, dimostrate attraverso i moderni strumenti diagnostici, corrisponde alla necessità di riadattamento anche emotivo necessario a fronte delle modificazioni imposte dallo stato di malattia. In campo neurologico d'altronde abbiamo diversi esempi per patologie come il Parkinson o la Corea di Huntington in cui riscontriamo costantemente turbe dell'affettività.  Il manifestarsi di sintomi depressivi dipende in larga misura dalle caratteristiche della personalità, dalla capacità di elaborazione personale e dal livello di adattamento precedente lo stato morboso. Possiamo affermare  che l'associazione disturbo affettivo - disturbo del movimento porta ad un'azione sinergica delle patologie. Appare quindi ancora evidente l’indissolubile collegamento corpo-mente-corpo, principio fondante della Medicina Psicosomatica.

 

Bibliografia

 

Aguglia E., Riolo A. (2008) Quando il corpo fa male. Pacini ed., Roma.

 

Carnevale S., Ferrarese D., Belella D., Orlandelli E. (2008) Musica e Psiche: dal genio di Mozart alla relazione d’ascolto. Psichiatri Oggi, CIC Ed. Int., Anno X, N. 2.

 

Carnevale S., Martini A., Ferrarese D., Belella D., Orlandelli E. (2008) Quando il corpo tradisce l’artista: patobiografia e clinica psicosomatica. Idee in Psichiatria, Alpes ed. (in corso di stampa).

 

Chiozza L.A. (1988) Perché ci ammaliamo? La storia che si nasconde nel corpo. Quaderni di psicoterapia infantile, 19, 60-5. Borla, Roma.

 

Critchley M., Henson R.A. (1999) Music and the Brain: Studies in the Neurology of Music. London. William Heinemann Medical Books

Lederman R. (1999) Robert Schumann. Seminars in Neurology, vol.19. Supplement 1.

 

Martini A. (2000) Le Distonie professionali dei Musicisti. Tesi di Laurea in Medicina e Chirurgia.

Mengheri M. (2002) Freud, Jung e Chiozza: alcune riflessioni intorno alla psicosomatica. Sentieri. Itinerari di psicopatologia, psicosomatica, psichiatria. II, 1, E.T.S., Pisa.

Tempel L.W., Perlmutter J.S. (1993) Abnormal Cortical Responses in patients with writer's cramp. Neurology, 43(11):2252-7.