MEDICINA SENZA FRONTIERE."Ars medendi" A ROMA ANTICA.

MEDICI, CHIRURGHI E GUARITORI DA TERRE VICINE E LONTANE

 

 

 

Dr. Francesco Belli

Docente di Immunologia Università “La Sapienza”, Roma

Corso di Laurea in Biotecnologie

 

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a Paolo Rossi

medico, maestro, amico

dall' Etruria senese, a Roma

un ricordo, per sempre

trentacinque anni di "ars medendi", insieme

 

 

In questa memoria non è assolutamente nostra intenzione ripercorrere la storia della medicina romana, ai cui autorevoli trattati, classici o recenti, rimandiamo; rivediamo invece alcune idee ispiratrici e personalità protagoniste della cosidetta "ars medendi" in mille anni di storia romana antica, dall'età arcaica a quella repubblicana, all'epoca imperiale, che hanno caratterizzato le diverse anime della medicina romana, tradizionalista, templare, razionalista, empirica. Il principio che ha ispirato il tema di questa conferenza e che giustifica il titolo, parlando di una "medicina senza frontiere e di medici provenienti da terre vicine e lontane", è che Roma e il bacino del Mediterraneo, duemila anni fa, in particolare dopo il declino di Alessandria come polo della cultura ellenistica, divennero un esempio di diffusione e globalizzazione della cultura scientifica e della libera circolazione di professionisti, di idee e di esperienze. Per completare il titolo, ci riferiamo a "medici, chirurghi e guaritori" in quanto, soprattutto nella Roma arcaica, non vi era spesso distinzione fra queste figure; fu con l’arrivo della medicina greca e razionale che si affermarono eccellenze in campo medico, le cui opere e notorietà sono giunte fino a noi. Infine, abbiamo preferito l'espressione "ars medendi, anzichè ars sanandi": il verbo “medeor-eri” è stato impiegato in età arcaica e classica e da allora ha contassegnato l’intera professione; il verbo “sanare” è entrato in uso in epoca tarda e nelle lingue volgari neolatine.

Ha scritto G.Cosmacini1: "….non è ammissibile che nell’arco dei millenni non si sia mai data una società umana senza medicina, senza cioè una qualche forma di risposta, curativa o rassicurativa, alla domanda di tutela della vita umana e dell’integrità fisica nei confronti di un mondo esterno ostile, di una natura altrettanto matrigna che madre”. Roma e il mondo romano, dall’epoca arcaica alla Repubblica, all’età imperiale, non si è sottratta a questo principio fondamentale della convivenza civile e sociale.

Roma unificò l'intero bacino mediterraneo, evento mai più realizzatosi nel corso della storia; si verificò un fenomeno insolito che S.E.Alcock ha definito  "reverse acculturation"2: sono i vinti (i Greci, in particolare) ad imporre la loro cultura al vincitore, non viceversa; tale supremazia culturale della grecità fu riconosciuta non solo tra i Greci, ma, nel tempo, superate le resistenze dei tradizionalisti, a Roma stessa. Ben prima degli studiosi moderni Orazio affermò3: "Graecia capta ferum victorem coepit “.A partire dal III secolo ac, dal mondo ellenico furono introdotti nel selvatico Lazio, arti, mestieri, cultura umanistica e scientifica, tra cui idee, tecnologie e uomini di medicina.

Nella Roma arcaica e repubblicana era compito del “pater familias” occuparsi della salute dei propri familiari, ma anche di servi e dipendenti: non esisteva la professione del medico, mentre molti erano i guaritori, specie nelle campagne. Dal III sec. ac Roma conobbe il culto di Asclepio, il pensiero ippocratico e la medicina razionalista: giunsero medici dal mondo ellenico, alcuni dei quali divennero famosi, acquisirono grande ricchezza ed entrarono nelle case dei patrizi. Sul finire della Repubblica medici ebbero l'incarico di curare categorie speciali come i soldati, i gladiatori, i servi; alcuni ebbero la cittadinanza romana, ma la professione era ritenuta umiliante e indegna di un cittadino romano e dunque riservata a schiavi, liberti e stranieri. Nel 45 ac G.Cesare concesse la cittadinanza romana a chi praticava la medicina: da allora una “turba medicorum” si diresse dall’Oriente verso Roma, divenuta il centro culturale primario del Mediterraneo, con la decadenza di Alessandria, anche per evitare pene e condanne che in molti paesi erano inflitte ai medici che incorrevano in errori4.

Alla medicina "globalizzata", così come la intendiamo noi, dell'età imperiale, nei sette secoli precedenti contribuirono elementi tradizionali e innovativi, autoctoni (cultura etrusca e degli altri popoli italici) e non (greco-ellenistici, ma anche da paesi orientali5), che si mescolarono, si contrapposero, ma infine si integrarono e affiancarono; la medicina delle tradizioni non scomparve mai nel mondo romano, soprattutto nelle campagne, nei suburbi, ai confini dell'impero; ad essa gradualmente si aggiunse la pratica diagnostica e curativa di marca greco-ellenistica, ippocratica e razionalista, medici e guaritori d'oltremare, ma l'una non soppiantò mai del tutto l'altra. E' per questo che la medicina di Roma e delle terre sottomesse presenta mille sfaccettature. Da una parte, il contributo della medicina teurgica, magica e dei guaritori, templare e sacerdotale, patriarcale, perlopiù mutuate da Etruschi e altri popoli pre-romani; dall'altra, gli apporti della scienza e della filosofia pre-socratica, di Socrate, Platone e Aristotele, delle scuole mediche della Magna Grecia, dell'empirismo pre-ippocratico, del razionalismo ippocratico, della scuola alessandrina medico-biologica6.

Giuridicamente riconosciute, con l'editto di Cesare, molte figure professionali esercitarono la medicina a Roma: medici privati, statali, militari, delle terme, "pharmacopolae", professionisti itineranti ("wanderartz" dei latinisti tedeschi), secondo un'antica consuetudine greca. Dalle fonti letterarie ed epigrafiche riconosciamo diversi specialisti: medicus clinicus, auricularius, dentium, ophtalmicus; donne che si dedicavano perlopiù all'ostetricia. A partire dal I secolo dc, furono rappresentate tutte le principali sette o scuole mediche di impronta ellenistica: pneumatica, dogmatica, empirica, metodica7.

Come abbiamo già accennato, in età arcaica e repubblicana, ma anche in seguito, specie nel suburbio, nelle campagne, nelle città periferiche, una congerie di guaritori, maghi, ciarlatani, streghe e fattucchiere si affiancava e talora sostituiva medici competenti nella diagnosi e nella somministrazione di medicamenti. La situazione, riferita ad "ArimInum", ma che potrebbe essere estesa alle zone popolari di Roma, è ben illustrata da L.Braccesi: “….la città, sede di una consorteria di medici, era attorniata da un intrigante sottobosco di maghe, fattucchiere e guaritrici, città dove l'arte medica, forse non dissociata dalla pratica magica, aveva fama e rinomanza; dalle maghe ai medici, e quindi ai manipolatori di pharmaka, la tradizione iatrica sembra intramontabile. Le corporazioni di medici operavano confortate e supportate dalla religione ufficiale; ogni medico era contornato da un pantheon di divinità legate alla cura dell'anima e del corpo, riallacciandosi a tradizioni iatriche di marca ellenica, che pervasero il territorio già in età pre-romana”.8

Testimonianze archeologiche, a Roma, di spazi adibiti all'esercizio della professione medica o a veri e propri studi, non ne sono rimasti nè molti nè significativi, per cui dobbiamo rivolgerci altrove per capire come fossero strutturati; ecco allora la ormai famosa "domus del chirurgo" di Rimini, casa-studio di un greco di nome Eutyches, "iatreion" per pazienti benestanti, o la "taberna medica" di via dell'Abbondanza, a Pompei, anch'essa abitazione e studio di un certo Aulus Pomponius Magonianus, per una clientela di semplici cittadini9.

Per quanto riguarda le fonti scritte, assai varia è la situazione dei testi pervenuti fino a noi; in alcuni casi disponiamo di opere quasi complete: è il caso di Ippocrate, Dioscoride, Galeno, Oribasio, Paolo di Egina. In altri casi è stato possibile recuperare, direttamente o riferite, buona parte delle opere di Rufo, Sorano e della scuola Alessandrina. Infine, sono andati perduti la più parte dei testi delle antiche scuole di Kos e Knidos, dei Metodici e degli Empirici, degli alessandrini Erofilo ed Erasistrato, dei medici e filosofi della Magna Grecia Italica, di Asclepiade10. Controverso è il discorso che riguarda Aristotele: disponiamo di molti testi scientifici di cui fu con certezza autore, ma diverse fonti riportano che nel rogo della biblioteca di Alessandria perirono altre opere di carattere medico-biologico.

Alcune date ci aiutano a capire meglio la successione di eventi nella lunga storia della medicina a Roma. L'influenza etrusca, iniziata sin dalle origini, durò in pratica otto secoli e potè dirsi culturalmente conclusa nel 54 dc con la morte dell'imperatore Claudio, "etruscofilo", che aveva raccolto il sapere scientifico dei popoli pre-romani nei venti volumi delle "Storie Etrusche o Tirrenikà", che andarono ben presto disperse. Nel III secolo ac inizia l'incontro fra la cultura greca e quella romana: al 293 ac si fa risalire, fra mito e storia, l'arrivo a Roma del culto di Asclepio; nel 219 giunge dal Peloponneso il primo medico greco, Archagatos, e inizia la progressiva ellenizzazione della scienza e della medicina romana. Nella seconda metà del I secolo ac finisce la dinastia tolemaica e brucia la biblioteca di Alessandria: la decadenza della città egiziana lancia Roma come epicentro della cultura del tempo.

45 ac: Cesare, anche a seguito dell'incendio della biblioteca di Alessandria, forse da parte delle sue truppe, non sappiamo se per risarcimento o per puro calcolo politico, concede il diritto di cittadinanza  ai medici che vengono ad esercitare a  Roma, norma poi confermata da Augusto e Teodosio e l’esenzione parziale dal pagamento delle imposte. In seguito  Augusto, come atto di ringraziamento al proprio medico, Antonio Musa, che lo guarisce da una grave epatopatia acuta, concede ai medici l’esenzione universale dal pagare le tasse. I/II secolo dc: avvengono i primi incontri/scontri fra la scienza e la medicina romana e il cristianesimo; 162 dc: a Roma arriva da Pergamo Claudio Galeno.

La medicina romana arcaica, in gran parte ereditata dai popoli italici, era a carattere familiare, esercitata soprattutto dal pater familias;  costante era l'utilizzo di rimedi naturali a base di erbe: la conoscenza delle loro proprietà farmacologiche fu trasmessa ai Romani dagli Etruschi; inoltre si praticavano anche semplici operazioni chirurgiche. Questa medicina tradizionale era permeata dall'elemento religioso e magico; i Romani fecero ricorso sin dai tempi più antichi alla medicina religiosa, che continuò ad essere praticata  anche dopo l'arrivo della medicina razionalista greca, alla quale si affiancò: la gente comune continuò a credere che le malattie fossero una punizione divina e a ricorrere a cerimonie e riti per ottenere la guarigione.

Di questo lungo periodo non ci sono pervenuti, a differenza dell'età imperiale, nomi di medici che si distinsero a Roma o nelle province e questo rimarca la pratica familiare di quella medicina. L'eredità degli Etruschi, tecnicamente, può essere così riassunta11:

- Chirurgia: procedure di interventi piccoli e grandi (trapanazione del cranio), allestimento di un ricco e vario strumentario.

- Odontoiatria: gli Etruschi furono maestri nella costruzione di protesi con differenti materiali, legno, metalli e oro.

- Conoscenza e uso terapeutico di piante ed erbe12,13,14: secondo gli autori latini, erano diverse centinaia i medicamenti vegetali ereditati dagli Etruschi; molti, e validi, sono giunti fino ai nostri giorni.

- Governo delle acque, conoscenza e uso delle fonti termali. La ricchezza di fonti naturali rese gli Etruschi profondi conoscitori e ideatori di sistemi per imbrigliare, trasportare, utilizzare e smaltire le acque: i Romani ereditarono queste tecniche, ma per molti secoli si avvalsero di "ingegneri idraulici" e maestranze etrusche per costruire acquedotti, fognature (cloaca massima), bonificare acquitrini (area dei fori) e paludi. Le numerose fonti termali in Italia erano note e utilizzate, per specifiche proprietà curative, già in epoca preromana; la passione tutta romana per terme, bagni, fonti calde e fredde, esportata ovunque, ha radici lontane.

- Un'eredità indesiderata fu la presenza della malaria lungo le coste tirreniche a nord di Roma e nelle paludi maremmane: l'infestazione era del resto presente anche a sud15, nelle piane del basso pontino quasi sempre allagate, così come le zone più basse tra i sette colli; per questo Roma fu edificata in alto, circondata da "infamis aer", T.Livio16 e "in pestilenti atque arido solo", Tacito17. Quando i Romani conquistarono l’Etruria, le città costiere erano già state abbandonate da tempo per la malaria. La via Appia, fra Roma e la Campania, era spesso sommersa: Orazio racconta di un viaggio infestato da “mali culices”3. Vitruvio, Strabone, Varrone, Lucrezio e Columella riconobbero il ruolo del paludismo e delle zanzare.

Il III secolo ac è segnato dall'impatto fra mondo greco e romano, le cui vicende storiche divennero in parte mito, come quello legato all'arrivo di Asclepio sotto forma di un serpente taumaturgico, nel 293 ac, presso l'isola Tiberina, ove verrà edificato il suo tempio maggiore, sotto forma di nave; i resti sono ancora visibili sotto l'attuale ospedale. Tra leggenda e realtà si colloca anche l'arrivo a Roma del primo medico greco, Archagatos, dal Peloponneso, nel 219 ac: dopo un periodo di successo, fu accusato di praticare metodi cruenti, “carnifex”, e  costretto a tornarsene in patria; in realtà fu osteggiato dai fautori della medicina tradizionale, guidati da Catone, che vedevano in uno straniero un pericolo per uno status quo consolidato; venne criticato soprattutto perché si faceva pagare. L'episodio non diminuì il flusso dei medici greci a Roma: come ha scritto lo storico Jackson R18,  "l'attrazione della città in espansione ed una crescente domanda di salute e di medicina, assicuravano ai medici e guaritori greci un mercato in via di sviluppo, sia che essi fossero uomini liberi, prigionieri di guerra o schiavi. Inoltre un gusto crescente per la cultura greca tra le famiglie romane benestanti comportava che i medici greci fossero ambiti sia per ostentazione che per valore pratico".  

Nella figura n.1 sono riportati nomi e provenienze dei più famosi medici che vennero a Roma in età imperiale: la maggioranza di essi transitò per Alessandria, luogo di confronto e specializzazione. Ma tanti altri, la cui notorietà non è stata pari, hanno professato la medicina nella capitale dell'impero: basta aggirarci per le sale del museo della Civiltà Romana per trovare lapidi ed epigrafi funerarie di medici ispanici, germanici, greci (c'è il marmo di un dentista con effigiati i ferri del mestiere), anche di donne, come una certa Silvia Polla19.

Concludiamo con alcune brevi note riguardo i 4 grandi della medicina romana dei primi due secoli dc: A.Musa, Celso, Sorano e Galeno.

Antonio Musa: medico personale di Augusto, guarì e salvò l'imperatore da sicura morte per un’imprecisata epatopatia: questi, per ringraziamento, concesse ai medici l’esenzione universale dal pagare le imposte. Musa organizzò i primi ospedali pubblici, “valetudinaria”, adibiti alle cure dei miltari: ne possiamo apprezzare le fondamenta di uno dei più grandi in Germania, a Xanten, "Castra Vetera", e la ricostruzione presso il Rheinisches Landesmuseum di Bonn.

Aulo Cornelio Celso: non era un medico, va incluso fra gli “enciclopedisti”, come Varrone e Plinio il Vecchio; descrisse in numerose opere minuziosamente le malattie, con particolari che sono rimasti insuperati per secoli. Famosi i quattro punti cardinali, secondo Celso, dell'infiammazione: "Notae vero inflammationes sunt quattuor: rubor et tumor, cum calore et dolore" 20, de Medicina, III, 10. Galeno vi aggiunse la "functio laesa" e distinse tra forme acute, umide e croniche, secche, de Therapeutica, II, 121.

Sorano da Efeso. Opere più importanti: Gynaecia e un trattato sulle malattie acute e croniche. Nei suoi scritti dedicati alla ginecologia, rimasti un riferimento per secoli, non tratta solamente di anatomia, fisiologia e patologia femminile, ma prende in considerazione la condizione della donna romana negli aspetti etici, antropologici e sociali; cerca un compromesso fra l’imperante ideologia maschilista di stampo aristotelico e una visione diversa e auspicata della vita della donna: fornisce consigli per praticare il canto, la musica, i giochi, oltre le eterne e immutabili mansioni di madre, sposa, “domina”.

Claudio Galeno, da Pergamo. E' impensabile tracciare in poche righe un profilo di Galeno come medico, pensatore e divulgatore scientifico: riportiamo un flash dalla citata storia di G.Cosmacini, che ci sembra un' ottima sintesi1: “Formatosi ad Alessandria, le matrici culturali del suo pensiero sono reperibili nella filosofia di Platone, nella logica e nella biologia di Aristotele, nella clinica ippocratica e nell’ anatomo-fisiologia di scuola alessandrina. Da queste basi Galeno mosse alla costruzione di un sistema dottrinale avente le ambizioni proprie di una scienza non empirica, ma esatta, o sempre più approssimata all’esattezza”. Ai giovani che intraprendono la professione medica, Galeno ha lasciato questo consiglio, grande e semplice nello stesso tempo: "Ciò che fa il buon medico è sì il libro, ma anche la pratica regolare e frequente, accompagnata dalla consultazione di manuali "sintetici" che chiariscano via via ciò che è necessario per la buona cura, ad esempio l'uso dei farmaci, che è la conoscenza più difficile di tutte" 9.

Alla fortuna di Galeno contribuì anche la diffusione del Cristianesimo, che del suo pensiero scientifico e filosofico e della sua "ars medendi" sottolineò gli aspetti spirituali; una sorta di religiosità che, dalla concezione dei tre spiriti (naturale, vitale, animale) di stampo aristotelico, era interpretata come il riflesso umano della divina Trinità (l'uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio), accompagnata da una visione teleologica dell'anatomia22.

Fra i primi medici cristiani ricordiamo l' Evangelista Luca23: nato il 10 dc ad Antiochia, colto, apprezzato medico, viaggiò a lungo per esercitare la professione e diffondere la nuova dottrina, anche a fianco di S.Paolo (nella lettera ai Colossesi lo chiama "caro medico", 4,14)24; sembra che arrivò sino a Roma. Morì nel 93 dc a Tebe e, dopo diverse vicende, il suo scheletro senza il cranio fu inumato nella basilica di S.Giustina a Padova, anche se recenti indagini di antropologia molecolare ne hanno posto in discussione aderenza e veridicità storica del reperto25; la testa di S.Luca invece è contesa da più parti, in particolare una è conservata a Roma in Vaticano, una a Praga, un'altra a Istanbul, quasi l'emblema del passaggio di consegne fra la decadente capitale dell'impero, a occidente, e la nuova metropoli, Costantinopoli, a oriente.

 

 

 

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