I limiti del giudice e il rispetto dei principi di difesa e del contraddittorio

 

paola cattorini

Avvocato in Milano, esperta  in Diritto di Famiglia e in Criminologia

 

Abstract: Nel contenzioso familiare il ricorso al consulente d’ufficio (quale ausiliario del giudice) che esprima un parere circa l’affidamento dei figli e l’idoneità genitoriale ha acquisito col tempo sempre maggior rilevanza.

            Benché il giudice rimanga peritus peritorum, potendosi discostare dai risultati peritali, e benché il consulente non possa sconfinare nella valutazione giuridica del materiale di causa, la consulenza tecnica in ambito latu sensu familiare assume pressoché costantemente carattere deducente (o giudicante), in quanto l’ausiliario fornisce una chiave di lettura e di interpretazione dei dati acquisiti, che vengono fatti propri dall’organo giudicante ai fini della decisione.

Sorgono, dunque, non poche questioni in ordine al rapporto tra il giudice e il ctu, da un lato, e il ctu e le parti dall’altro. Sotto il primo profilo, questi i problemi: (i) se disporre una consulenza di stampo psichiatrico o di tipo psicologico; (ii) come e quando formulare il quesito (nella maggior parte dei casi il ctu arriva al processo senza conoscere il caso); (iii) chi nominare come consulente (nonostante un nutrito elenco, in genere vengono nominati sempre gli stessi ctu); (iv) se la consulenza debba avere una funzione solo valutativa/esplorativa o anche terapeutica; (v) fino a quale momento l’ausiliario debba assistere il giudice (il consulente è indotto a ritenere che, con il deposito dell’elaborato scritto, il proprio compito sia esaurito, laddove, invece, dovrebbe affiancare il giudice per tutta la durata del processo, restando “in carica” anche dopo il deposito della relazione). Sotto il secondo profilo viene in considerazione, in particolare, il problema dell’imparzialità del ctu che non dovrebbe mai alterare l’equilibrio processuale in favore di una soltanto delle parti mediante comportamenti quali incontri privati con una sola delle parti o l’accettare brevi manu documenti da una sola di esse durante l’indagine.

 

 

 

sommario: 1. La figura del consulente tecnico d’ufficio. 2. Il rapporto con le parti e il principio del contraddittorio. 2.1. Le osservazioni delle parti. 3. Il rapporto con l’Autorità Giudiziaria e la valutazione delle indagini del perito da parte del giudice. 4. Conclusioni.

 

 

 

1. La figura del consulente tecnico d’ufficio.

Sotto il profilo strutturale, il consulente tecnico d’ufficio nel processo civile, e quindi anche nei procedimenti di separazione personale dei coniugi e di divorzio, è un ausiliario del giudice (e non un vero e proprio mezzo di prova, poiché integra l’attività del giudice come organo decisorio, non determinandone direttamente il convincimento) che, nel sistema voluto dal legislatore, non dovrebbe essere un collaboratore occasionale, ma un soggetto che affianca il giudice e lo assiste per tutta la durata del procedimento (pur non potendo naturalmente interferire sulla direzione istruttoria di questo) quando si tratta di acquisire al processo il contributo di un tecnico, il consulente, appunto, munito di uno scibile non giuridico e di cui il giudice manca. La locuzione di cui all’art. 61 c.p.c. (che è la norma che disciplina la figura del CTU), secondo la quale “quando è necessario, il giudice può farsi assistere da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica” è stata interpretata dalla dottrina processualistica come “tutte le volte che si tratta di”. In altre parole, il momento di discrezionalità del giudice circa la necessità dell’indagine peritale è  limitato: il giudice disporrà la CTU ogni qual volta si sia in presenza di un problema che presuppone conoscenze in una determinata arte o scienza  e cioè di carattere extragiuridico. La peculiarità della figura del CTU è quella di assistere il giudice nella ricostruzione del fatto concreto nella sua realtà fenomenica (momento analitico del giudizio) che occorre accertare in giudizio, astenendosi dal formulare giudizi attinenti alla fondatezza della domanda (momento sintetico del giudizio).

Secondo la legge, il consulente d’ufficio deve essere scelto dal magistrato nell’ambito di specialisti iscritti in apposito albo esistente presso ogni distretto di Corte d’Appello. In realtà molte volte il giudice dà la preferenza a singoli professionisti di sua conoscenza, che godano della sua stima e, a sua opinione, rispondano alle esigenze del caso concreto.

Sotto il profilo della scelta del CTU nei procedimenti di separazione e divorzio si evidenziano alcuni aspetti problematici: (i) il fatto che i giudici tendono a nominare sempre gli stessi consulenti, nonostante la rosa di professionisti entro la quale scegliere sia nutrita; (ii) il fatto che il giudice possa avere perplessità circa il modello di accertamento peritale da scegliere (se di matrice sistemica, psicoanalitica, e così via); (iii) il fatto che spesso, chi è stato CTU in un procedimento, e quindi con la connotazione della neutralità, svolge le funzioni di consulente di parte in altri procedimenti.

 

2. Il rapporto con le parti e il principio del contraddittorio.

 

L’ordinamento giuridico italiano fonda la legittimità dei propri atti sul principio del contraddittorio: secondo tale principio tutte le parti concorrono alla formazione del giudicato, nei limiti delle rispettive competenze, in ogni fase processuale. Tale principio generale ha una sua precisa rispondenza nel caso dello svolgimento della CTU, laddove le parti hanno pieno diritto di assistere alla nomina del consulente, al suo giuramento, all’affidamento dei quesiti da parte del giudice, allo svolgimento delle operazioni peritali, alla conoscenza della relazione del perito. Il consulente di parte, inoltre, può partecipare all’udienza ogni qualvolta vi sia convocato il collega d’ufficio.

In altre parole, nei confronti dell’assunzione della consulenza tecnica, come in qualsiasi altro mezzo di prova, il diritto alla difesa ha come oggetto la tempestiva conoscenza del risultato della prova e la pari situazione delle parti nella comunicazione al giudice della propria valutazione su tali risultanze.

La violazione del principio del contraddittorio, ovvero dei diritti della difesa e delle parti, importa la nullità della perizia, nullità relativa nel senso che deve essere fatta valere dall’interessato, a pena di decadenza e restando così sanata,  nella prima udienza utile dopo il deposito della relazione.

Quanto alla documentazione delle operazioni peritali, vale osservare che a norma dell’art. 195 c.p.c. (i) quando le indagini sono compiute con l’intervento del giudice istruttore si redige processo verbale, che deve contenere l’indicazione delle persone intervenute, delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali gli atti sono compiuti, delle rilevazioni fatte e delle dichiarazioni ricevute; (ii) quando, invece, le indagini sono compiute senza l’intervento del giudice, il CTU deve redigere una relazione scritta, ma è esonerato dall’obbligo di formare il processo verbale delle operazioni compiute: di queste il CTU dovrà dare notizia al giudice mediante il deposito agli atti di causa della relazione scritta per consentire una valutazione dell’opera svolta. E’ evidente che, in mancanza della verbalizzazione nell’immediatezza dello svolgimento delle operazioni, il controllo delle parti (e del giudice) sull’operato del consulente è  limitato, potendo il CTU interpretare a posteriori le osservazioni e le istanze delle parti riportate nella relazione (scritta o orale) fatta al giudice.

 

2.1. Le osservazioni delle parti.

Quanto al rapporto tra il CTU e le parti, vale osservare quanto segue.

Le parti possono rivolgere al consulente proprie osservazioni. Secondo il dettato normativo tali osservazioni devono essere inserite dal consulente nella propria relazione, mentre sul punto la giurisprudenza è divisa, rinvenendosi sentenze secondo cui il CTU non è tenuto ad inserire le osservazioni delle parti nella propria relazione. La parte che lamenti la mancata trascrizione delle proprie osservazioni non può limitarsi apoditticamente a farlo rilevare ma ha l’onere di provare e precisare  gli errori in cui sia incorso il giudice nel recepire le conclusioni della consulenza.

Quando una parte presenta al CTU propri scritti difensivi la stessa ha un preciso onere di comunicare alla parte avversa copia delle proprie osservazioni (l’ obbligo di cui all’art.90 disp. att. c.p.c. non incombe sul consulente bensì sulla parte). Il CTU non dovrà tener conto delle osservazioni a lui pervenute da una parte se non avrà la certezza che siano state trasmesse anche all’altra, perché in difetto di ciò assumerebbero l’aspetto di informative private, come tali vietate dalla legge. E’, invece un preciso obbligo del consulente, quello di far conoscere alle parti indistintamente e senza alcuna differenziazione informazioni in merito alla prosecuzione delle operazioni peritali, alle modalità che intende adottare nella raccolta di notizie e nello svolgimento delle indagini, e così via. La violazione di tale principio potrebbe determinare violazione del diritto di difesa e portare alla nullità dell’indagine compiuta, salve le responsabilità penali a carico del consulente stesso.

 

3. Il rapporto con l’Autorità Giudiziaria e la valutazione delle indagini del perito da parte del giudice.

Il parere del consulente tecnico non vincola il convincimento del giudice, che rimane peritus peritorum avendo libertà di apprezzamento delle prove (art.115 c.p.c.), tra cui la CTU.

Bisogna, tuttavia specificare tale principio e distinguere (i) le ipotesi in cui il giudice aderisca alle conclusioni del CTU (ii) dalle ipotesi in cui se ne discosti.

(i) Nel caso in cui ritenga di doversi uniformare al parere espresso dal CTU, il giudice del merito non è tenuto a motivare la propria adesione. Qualora, però, tali conclusioni siano contestate dalle parti occorre ulteriormente distinguere.

(i.a) Se le critiche mosse dalle parti alla CTU sono generiche ed apodittiche, il giudice non è tenuto a prenderle espressamente in considerazione. Anche in questo caso, pertanto, l’adesione alle conclusioni del CTU è sufficientemente motivata attraverso il rinvio alla relazione peritale (tra le altre, Cass. Civ., n.1153/1995, in Foro It. Rep., 1995, 27).

(i.b) Se invece le parti, anche attraverso i propri consulenti, abbiano contestato le conclusioni del CTU in modo preciso e circostanziato e tale da poter condurre ad una decisione diversa, il giudice ha il dovere di confutare e prendere posizione in ordine ai rilievi opposti dalle parti, incorrendo nel vizio di insufficiente od omessa motivazione qualora faccia proprie acriticamente le conclusioni del CTU (Cass. Civ., n.245/1995, in Foro It. Rep., 1995, 13).

Sul punto vale solo notare che nella prassi sono  frequenti le ipotesi in cui il Giudice opera una sostanziale traslazione dell’attività di giudizio all’ausiliario, ponendo acriticamente a fondamento della decisione la relazione peritale. Tale circostanza spesso ricorre quando il CTU abbia omesso di ripercorrere l’iter logico attraverso cui è giunto a determinate conclusioni, rendendo oggettivamente impossibilitato il giudice a verificare la bontà delle soluzioni prospettate. 

Non solo. Vi sono casi nei quali il CTU pone a fondamento della decisione le dichiarazioni rese da una delle parti in causa, senza averle verificate scientificamente e controllate obiettivamente.

(ii) Nell’ipotesi in cui il giudice intenda, invece, disattendere le conclusioni del CTU egli ha l’obbligo di motivare le ragioni del proprio dissenso. Deve cioè prospettare nozioni ed apprezzamenti tecnici contrapposti a quelli affermati dal CTU, per dimostrare l’inattendibilità di questi ultimi sul piano scientifico. Dare convincente ed adeguata spiegazione del proprio dissenso significa che il giudice che si discosti dalle conclusioni del CTU deve far emergere l’errore logico compiuto da quest’ultimo, indicandone il vizio metodologico e fornendo, per contro, i dati dai quali abbia tratto il proprio diverso convincimento. Emerge quindi con evidenza il limite di questo principio in quanto il giudice, nella maggior parte dei casi, non avrà le cognizioni sufficienti per contrapporre argomentazioni scientifiche altrettanto solide per contrastare le ragioni del CTU. In questo caso, quindi, è opportuno che il giudice provveda innanzitutto a chiedere chiarimenti al consulente oppure a rinnovare le indagini.

Si evidenzia, poi,  come la discrezionalità del giudice emerge non solo in sede di valutazione dei risultati peritali, ma anche nel corso dello svolgimento dell’attività del consulente, laddove l’art. 194 c.p.c. stabilisce che “il consulente tecnico assiste alle udienze alle quali è invitato dal giudice istruttore”. Appare chiaro che, qualora il consulente voglia fornire chiarimenti al giudice o alle parti presenziando alle udienze, è il giudice stesso a stabilire se invitare o meno il CTU a partecipare alle udienze medesime.

Passando ai problemi generali della consulenza tecnica in ambito familiare, vale evidenziare alcuni nodi di carattere relazionale tra i vari operatori coinvolti.

E’ evidente, infatti, che la diversa formazione  e funzione degli stessi rappresenta un ostacolo alla comunicazione, una difficoltà ad  attribuire un significato concorde ed univoco ai termini che vengono impiegati dall’uno o dall’altro di essi.

Un esempio di questa problematica è rappresentato dalla indeterminata nozione dell’”interesse del minore” che il magistrato indica al CTU di accertare per l’affidamento nel caso della separazione dei genitori. Per alcuni consulenti, infatti, tale nozione si identifica nel diritto del bambino a mantenere ampi e continuativi contatti con entrambi i genitori, mentre per altri si concretizza nel solo contatto con il genitore predominante (cosiddetto “genitore psicologico”); per altri ancora è rappresentato dall’allontanamento del minore da quei nuclei indicati come inadeguati e negativi rispetto alle esigenze psicologiche ed affettive del minore.

Alcuni magistrati, nel contempo, ritengono che l’interesse del minore in difficoltà sia tutelato attraverso la sua esclusione dalle incombenze relative alla testimonianza ed alla pronuncia di una scelta circa il suo affidamento, mentre altri qualificano la sua partecipazione al procedimento come utile ed altri ancora come indispensabile contributo di garanzia dei suoi diritti. Oggi, si sensi del nuovo art. 155 sexies c.c., “il giudice – per accertare l’interesse del minore -  dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”. La disposizione in commento è stata interpretata nel senso di disporre l’audizione del minore solo nei procedimenti contenziosi e solo nel caso in cui debbono essere presi provvedimenti riguardo ai figli (non, quindi, per i soli provvedimenti economici). Per valutare la capacità di discernimento il giudice deve avvalersi di un ausiliario ai sensi dell’art. 68 c.p.c.. L’audizione, secondo l’interpretazione più diffusa, va condotta a porte chiuse dal magistrato titolare della causa con un giudice onorario, ove previsto, o con l’ausiliario ex art. 68 c.p.c.. Non è prevista la partecipazione dei difensori delle parti.

 

4. Conclusioni.

In una prospettiva de iure condendo alcuni autori auspicano l’affermarsi di un modello definito come un vero e proprio “sistema peritale”, nel contesto del quale il CTU elabora specifiche strategie di interazione tra il sistema della famiglia ed il sistema giuridico, traendo dalla propria analisi una più chiara percezione delle dinamiche che uniscono i due contesti in esame e fornendo all’inviante, che è il magistrato, una valutazione il più possibile articolata e fruibile.

In questa opera il CTU, quale agente di cambiamento e di chiarificazione, può usufruire del contributo di numerose figure professionali, come quelle dell’avvocato, del giudice, del consulente di arte, degli operatori dei servizi del territorio, al fine di elaborare, caso per caso, un progetto di contatto del bambino con entrambi i genitori e con gli eventuali nuclei familiari degli stessi.