Le criticità successive al DPCM del 1 aprile 2008

 

S. Corbi, L. De Marchis Preite, A.  Fierro, E. Maria Ferlisi

 

 

A seguito del DPCM  del 1 aprile 2008, l'assistenza sanitaria all'interno degli Istituti penitenziari è passata dalla gestione del Ministero della Giustizia a quella delle ASL, in applicazione del DPR 230 del 22.6.1999. Le ASL nei cui territori di pertinenza sono ubicati gli Istituti penitenziari e gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), hanno dovuto farsi carico di tutti i bisogni in termini di salute e di tutte le incombenze organizzative e amministrative del personale transitato da un’Istituzione all’altra.

Nel documento vengono specificate le “Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di Sanità Penitenziaria”. Sulle modalità organizzative assistenziali il DPCM lascia alle Regioni e alle Aziende Sanitarie la scelta del modello di cui dotarsi, sebbene dia indicazioni sui modelli possibili, purché le ASL garantiscano “in analogia a quanto prescritto per i cittadini in stato di libertà dall’art 8 comma 1 lettera e), del D. Lgs  229/1999, l’attività assistenziale per l’intero arco della giornata e per tutti i giorni della settimana attraverso il coordinamento operativo e l’integrazione professionale tra tutti gli attori sanitari in gioco e le strutture operative esterne del SSN”.

Molta attenzione viene data nel DPCM alla cura globale del detenuto al primo ingresso, per ridurre il più possibile i rischi autolesionistici, e alla gestione dei soggetti con “infermità psichiche” e con “vizio parziale di mente”; in questi due ultimi casi fa esplicito riferimento all’integrazione dell’assistenza psichiatrica carcere-territorio per la cura e il reinserimento nella società dei soggetti con  patologia psichiatrica. Altrettanta attenzione viene data alla gestione e all’assistenza delle donne in  gravidanza e dei minori (0-3 anni) ospitati con le mamme, anche al fine di minimizzare gli effetti della separazione dopo i 3 anni di età.

All’atto dell’applicazione del DPCM si è dovuto fare i conti con numerose problematiche, relative alla particolarità della popolazione detenuta.

Dopo l’attuazione del DPCM le ASL hanno dovuto provvedere ad una razionalizzazione nell’organizzazione della gestione della salute all’interno degli Istituti. Innanzi tutto, il personale sanitario prima in carico al Ministero di Giustizia è stato riassorbito dalle ASL, con notevoli problemi rispetto alla modifica dei contratti di lavoro secondo le direttive del Sistema Sanitario Nazionale (SSN), in particolare in termini di incompatibilità. Il personale infatti gode tuttora, in parte, per proroga della normativa preesistente, di una non incompatibilità allo svolgimento di altri incarichi pubblici e/o privati. La conseguenza è uno scarso investimento da parte del personale sanitario in termini sia di tempo dedicato all’assistenza che di motivazione personale e di conseguenza una difficile integrazione con il personale soggetto alle normative del SSN.

In virtù dell’organizzazione precedente all’attuazione del DPCM, che di fatto subordinava all’autorità del Direttore del carcere l’attività dei medici che operavano al’interno dell’Istituto stesso, gli aspetti della sicurezza erano di fatto prevalenti sui bisogni di salute. La logica era quella di assistere i detenuti cercando di evitare problemi critici tali da portare a situazioni estreme ed evitare danni irreversibili. Tutto ciò a scapito dell’attività di prevenzione e di continuità terapeutica necessarie per assicurare un’adeguata assistenza ai cittadini detenuti. Il Direttore dell’Istituto gestiva inoltre le risorse economiche da utilizzare ai fini dell’assistenza, anche per quanto riguardava la dotazione di particolari attrezzature diagnostiche all’interno dell’Istituto, con conseguente presenza di realtà molto diverse tra loro in termini di capacità diagnostica e terapeutica nei vari Istituti del territorio nazionale. In tale panorama, lo sforzo principale dopo il trasferimento delle funzioni sanitarie al S.S.N. è stato quello di cercare di far dialogare due Istituzioni differenti (ASL da una parte e Ministero della Giustizia dall’altra), con prerogative diverse, assistenziale e di sicurezza, spesso confliggenti tra loro. Inoltre, nell'ambito della riorganizzazione, le ASL  si sono trovate a dover censire tutte le  attrezzature diagnostiche presenti negli Istituti di loro competenza ed a verificarne la rispondenza agli standard  previsti dal SSN. In molti casi il parco tecnologico in dotazione si è rivelato obsoleto ed inutilizzabile ed è stato necessario il suo adeguamento e rinnovo, con costi aggiuntivi per le ASL, che non erano stati per nulla previsti dal DPCM. E’ necessario sottolineare come l’esecuzione di qualsiasi prestazione non erogabile all’interno dell’Istituto comporti un notevole impiego di risorse umane e di denaro (valutazione medica, gestione dell’attività amministrativa degli appuntamenti, necessità di personale di scorta).  L’esigenza di sicurezza, impone rigidi protocolli che regolano le uscite dall’Istituto e prevedono sempre la presenza di una scorta, che, fatta eccezione per le situazioni di emergenza-urgenza non è sempre assicurabile a causa della carenza del personale penitenziario, il che comporta notevoli ritardi o rinvii di prestazioni sanitarie con aggravio ulteriore della componente burocratica ed amministrativa.

Inoltre il cittadino detenuto, a differenza di quello libero, non ha il diritto di scegliere il medico o la struttura di sua fiducia, tranne in rari casi in cui esiste una diversa disposizione dell’Autorità Giudiziaria competente. L’unica possibilità che la popolazione detenuta mantiene, è di poter rifiutare la prestazione sanitaria, situazione che amplifica ulteriormente il problema dei ritardi nelle prestazioni e comporta la riattivazione successiva della macchina burocratico-amministrativa per ottenere nuovi appuntamenti.

Quella detenuta è inoltre una popolazione a maggior rischio di salute rispetto a quella libera. Basti pensare alla notevole diffusione della tossicodipendenza (circa la metà della popolazione detenuta), e delle patologie ad essa correlate, cui si affiancano ulteriori fattori di rischio sanitario indipendenti, quali lo stile di vita (scarso controllo dell’alimentazione, precarie condizioni igieniche, fumo di tabacco), il livello sociale e di istruzione, il sovraffollamento degli Istituti penitenziari. In questo panorama è facile capire come la popolazione detenuta sia soggetta a precocità di comparsa di malattie cronico-degenerative (in particolare cardiovascolari, metaboliche, pneumologiche) e ad una larga diffusione di patologie infettive e acute e croniche (epatiti virali, AIDS e tubercolosi, ma anche pediculosi, sifilide, scabbia,  tra le più frequenti), la cui diffusione all’interno del carcere è particolarmente favorita dalle condizioni igieniche e di sovraffollamento.

Esistono inoltre ulteriori peculiarità del malato-detenuto che rendono ancora più difficoltosa una corretta gestione della salute. Bisogna sottolineare inoltre che esiste una notevole prevalenza di patologia  psichiatrica all’interno degli Istituti, preesistente ed esacerbata dalla carcerazione oppure di nuova insorgenza (ad esempio le reazioni depressive di adattamento alla reclusione), che rende in particolare il primo periodo di detenzione gravato da fenomeni di auto-eterolesività e suicidio. Non bisogna inoltre dimenticare che in alcuni casi il malato, in quanto detenuto, ha la possibilità di richiedere, tramite il proprio legale, benefici di tipo giuridico che vanno dalla detenzione domiciliare alla sospensione della pena o alla scarcerazione per motivi di salute. In questi casi solitamente l’Autorità Giudiziaria competente richiede approfondimenti diagnostici, a volte tramite ordinanza di ricovero sul territorio, che spesso si traducono in ricoveri impropri e gravano ulteriormente  sulla spesa sanitaria.

Il bisogno di salute di questi cittadini, in quanto popolazione selezionata, è dunque notevolmente maggiore rispetto alla popolazione libera, il che comporta la necessità di  attuare misure di assistenza estremamente più aggressive ed implementare l'attività di prevenzione, con incremento notevole dei costi sanitari.

Lo sforzo posto in essere da parte delle ASL è quello di cercare di ottimizzare le risorse economiche presenti attraverso una riduzione degli sprechi, una maggiore efficienza nella comunicazione tra i vari Istituti penitenziari e tra questi e le risorse presenti sul territorio. E’ necessario incrementare le attività di prevenzione e di educazione sanitaria rivolte alle persone detenute allo scopo di ridurre l’incidenza di malattie infettive e diffusive, ma anche promuovere interventi formativi rivolti a tutti gli attori che intervengono nel processo globale di salute, sia sul versante sanitario che su quello penitenziario. In sostanza, creare un personale dedicato, che incrementi le proprie conoscenze sia riguardo le prerogative di tipo sanitario della popolazione detenuta, ma anche per quanto che riguarda la normativa e i protocolli da seguire per poter garantire la necessaria tutela della sicurezza. In questo modo sarà possibile ottenere personale motivato che si senta parte di un progetto e processo di salute, in ottemperanza a quanto previsto dalle norme istitutive del SSN.

 

PER LA CORRISPONDENZA:

 

Dott.ssa Stefania Corbi

UOC Medicina Penitenziaria, Ospedale Sandro Pertini - Roma

 

email: stefania.corbi@aslromab.it