La nefropatia cronica: strategie di prevenzione del rischio cardio-vascolare

Dott Paolo De Paolis

Resp. UOS Nefrologia e Dialisi in Area Critica e Trapianti

A.O. S. Camillo-Forlanini - Roma

Nel corso degli ultimi anni si sta osservando in tutto il mondo un’aumento nel numero di pazienti affetti da insufficienza renale cronica (IRC), pazienti che nel corso degli anni procedono verso gradi di insufficienza sempre più avanzata tanto che vengono riportate incidenze nell’inizio del trattamento sostitutivo renali in aumento in tutto il mondo. L’Italia in questo contesto si allinea con i paesi più industrializzati del mondo. Nel 2010 si ipotizza su una popolazione generale di circa 60 milioni, circa il 5 % di pazienti potenzialmente affetti da gradi diversi di insufficienza renale, con più di 34.000 pazienti in trattamento sostitutivo renale, di questi 9960 ritenuti idonei ed inseriti in lista d’attesa per un trapianto di rene , che è stato effettuato in 1650 pazienti. Queste cifre ci dimostrano come sia estesa la fascia di popolazione che sottoposta ad una serie di fattori di rischio è potenzialmente esposta a sviluppare IRC. Infatti nel 2009 l’incidenza in Italia di sviluppare IRC era di 135 pazienti per milioni di abitanti che nel 2010 è diventata 150 per milioni di abitanti, trend sovrapponibile ai dati americani in cui si è passati da un’incidenza nel 2009 di 321 a 350 pazienti per milioni di abitanti nel 2010.

Le cause di questo progressivo aumento di incidenza sono legate in minima parte a patologie primitive renali ma soprattutto ad una serie di comorbidità presenti nel singolo paziente (patologie cardio-vascolari, diabete, ipertensione arteriosa, dislipidemia, obesità, tabagismo, diete non corrette)che stanno sempre più caratterizzando la popolazione dei paesi più industrializzati e che intrecciandosi, determinano un aumento nel tempo dell’incidenza di sviluppo e progressione dell’IRC.

Tra le diverse problematiche, quelle inerenti il sistema cardio-vascolare, rivestono una significativa importanza per la stretta interconnessione con l’IRC e la relazione tra questi due aspetti e di come l’uno potenzi l’altro sarà presentata nei  suoi più significativi aspetti.

E’ risaputo come i principali fattori di rischio cardio-vascolari che valgono per la popolazione sana quali età avanzata, sesso maschile, razza bianca, ipertensione arteriosa, diabete, tabagismo, dislipidemia, inattività fisica, familiarità per malattie cardio-vascolari, menopausa, rivestano lo stesso ruolo  nel paziente nefropatico. Il paziente nefropatico però a questi fattori di rischio tradizionali, ne aggiunge altri peculiari dello stato uremico quali tipo di malattia renale, grado di insufficienza renale, proteinuria, iperattività del sistema renina-angiotensina, alterazioni del metabolismo fosfo-calcico, malnutrizione, stato di microinfiammazione, sovraccarico idrico, stato ossidativo accentuato, anemia e infezioni, tanto che le problematiche cardio-vascolari nel paziente nefropatico con gradi di insufficienza renale diversa, sono la causa maggiore di morbilità e mortalità. McCullough nel 2007 (1) pubblicando i risultati dello studio KEEP (Kidney Early Evaluation Program) ha confermato su un significativo numero di paziente per circa 40 mesi di osservazione, che la sola presenza di insufficienza renale cronica era strettamente legata ad aumento di mortalità nel medio-lungo periodo e che la coesistenza di patologia cardio-vascolare accentuava nel tempo, le percentuali di mortalità. E’ stato dimostrato che la progressione del danno renale è strettamente legata agli effetti  dell’aumento del Sistema Renina-Angiotensina che agisce sulla progressione attraverso:  effetti emodinamici, sia sistemici che renali inducendo una ipertensione dei capillari glomerulari, sia effetti non emodinamici  legati alla liberazione di citochine quali TGF beta, PDGF, PAI 1, IL 1, TNF-alfa. Tali effetti  in sinergia, inducono proliferazione delle cellule mesangiali, successiva attivazione ed infiltrazione macrofagica, sviluppo di fibrosi che sono alla base della progressione del danno renale verso l’uremia terminale. Numerosi studi  a partire dal Captorpil Study del 1993 (2) passando per lo studio AIPRI del 96 (3), Rein Study del 97 (4) e al Benazepril Study del 2006 (5) hanno ipotizzato e poi confermato la capacità degli Ace Inibitori, oltre a permettere il controllo dell’ipertensione arteriosa e di ridurre la perdita di proteine nelle urine, di garantire una protezione renale, rallentando significativamente la progressione del danno renale (inteso come aumento lento ma progressivo dei valori di creatinina sierica). L’effetto di nefro-protezione degli Ace-Inibitori si osserva in modo significativo quando iniziati in una fase iniziale dell’insufficienza renale, effetto che veniva confermato, anche se di intensità minore, anche quando venivano iniziati in una fase avanzata della stessa IRC.

Il controllo della pressione arteriosa, cardine conosciuto da anni per la protezione cardio-vascolare e renale, ha confermato inoltre che per i pazienti nefropatici  il target ottimale di valori pressori debba  essere entro i 130/85 mmHg, target che in presenza di proteinuria dovrebbe essere ridotto a 125/75 mmHg.

Altro aspetto importante è la correzione precoce del grado di anemia che passa prima da una correzione marziale e poi con inizio di terapia sostitutiva con Eritropoietina. La correzione dell’anemia ha risvolti positivi sulla riduzione dell’Ipertrofia del Ventricolo Sinistro sia concentrica che eccentrica e sulla riduzione di complicanze cardio-vascolari nel tempo

Nel concetto di prevenzione verso i fattori di rischio cardio-vascolari, è sempre più confermata l’importanza della microalbuminuria. Nella popolazione generale la microalbuminuria è un marker di comparsa di ipertensione arteriosa, diabete, nefropatia cronica evolutiva ed eventi cardio-vascolari.

Per cui nella strategia di prevenzione renale, è importante ricercare sempre la microalbuminuria negli ipertesi, nefropatici, diabetici, dislipidemici, fumatori, obesi  o pazienti affetti da sindrome metabolica perchè permette la stratificazione del rischio di sviluppare complicanze cardiologiche o nefrologiche, obbligando il clinico ad una più intensa terapia farmacologica con il fine di ridurre le percentuali di complicanze.  Così come nel Danish Monica Study (6), la presenza di microalbuminuria in una popolazione di ipertesi, era strettamente legata all’aumentato rischio di sviluppare eventi coronarici su un tempo di 10anni di osservazione. Nello studio Prevend (Prevention of REnal and Vascular ENd-stage Disease Study)(7) si dimostrò che la semplice presenza di proteinuria nella popolazione, indipendentemente dalla presenza di IRC, era strettamente legata all’aumento del rischio di mortalità cardiovascolare nel tempo e che all’aumento della proteinuria aumentava il rischio di mortalità cardio-vascolare. Per cui la strategia multifattoriale da adottare nel paziente con proteinuria, è quella di contenere più possibile i seguenti fattori di rischio: abolizione dal fumo, in presenza di diabete raggiungere una Hb glic < 7,5 %, mantenere dei livelli di pressione arteriosa  < 120/80 mmHg, e dei livelli di Colesterolo  LDL < 100 e LDL e VLDL < 130 mg/dl.

Nel corso degli ultimi anni la presenza di diabete sta sempre più caratterizzando la popolazione soprattutto nei paesi più industrializzati. Gli effetti del diabete sono quelli caratterizzati dalla sua peculiare caratteristica di manifestare tardivamente i suoi effetti sul rene. Il primo segno di coinvolgimento renale è la comparsa di iperfiltrazione, seguito nel tempo dalla prima comparsa di microalbuminuria  che nel corso degli anni successivi diventa macroalbuminuria determinando però un più rapido declino del filtrato glomerulare per arrivare dopo circa 20 anni alla fase terminale dell’IRC.

Va sottolineata anche l’importanza del cosiddetto Late referral cioè il tardivo riferimento del paziente nefropatico al nefrologo. Tale aspetto è stato dimostrato sopratutto per i pazienti che iniziano la dialisi per uremia terminale, essere associato a prognosi peggiori nel tempo e ad aumentata morbilità e ospedalizzazione.

Altro aspetto saliente sulle problematiche cardio-vascolari nel nefropatico è quello riguardante le alterazioni del metabolismo fosfo- calcico e delle  strategie di trattamento che nel tempo sono state adottate sopratutto nei pazienti emodializzati.

Infatti numerosi studi clinici hanno mostrato l'importanza dei livelli plasmatici di fosforo nell’IRC. Infatti Kestenbaun (8) ha dimostrato come all'aumentare dei livelli plasmatici si osserva un aumento del rischio di morte e che il livello plasmatico legato alla più bassa percentuale di morte sia legato a livelli di fosforemia (2,5-2,9 mg/dl) minori di quelli che normalmente vengono considerati normali (3-3,49 mg/dl). Altrettanta importanza rivestono le calcificazioni coronariche nel nefropatico. E' stato dimostrato nel MESA ( MultiEthnic Study of Atherosclerosis) Study  (9) che in pazienti asintomatici studiati con Electron beam Tac Tomography , si osservava una presenza di calcificazioni direttamente correlata all’aumentare dell’età anagrafica del paziente. In pazienti ipertesi  la stessa tecnica ha evidenziato una stretta correlazione tra numero di vasi coronarici coinvolti dalle calcificazioni ed aumentato rischio di mortalità su un lungo periodo di osservazione circa 80 mesi (10). Mentre in pazienti affetti da IRC,  Rumberger (11) ha dimostrato una correlazione tra grado di IRC e calcificazioni coronariche,in quanto all’aumentare del grado di IRC si osservava un aumento delle calcificazioni  Gli effetti delle calcificazioni coronariche diventano più significative nei pazienti in emodialisi. Infatti Chertow (12) ha dimostrato che l'uso dei chelanti di fosforo a base di Sali di calcio determina una progressione della calcificazioni sia a livello coronarico che aortico significativamente maggiore rispetto a nuovi e più recenti farmaci (sevelamer) utilizzati per la riduzione della fosforemia nei pazienti in dialisi

I fattori di rischio cardiovascolari appena elencati, in parte continuano il loro effetto anche dopo  trapianto renale ben  funzionante. Infatti il trapianto può potenzialmente rimediare all'ipertensione arteriosa, ipertrofia ventricolare sinistra, diabete mellito, dislipidemia, iperparatiroidismo mentre non può agire verso altri fattori quali età avanzata, fattori genetici, età dialitica e arteriopatie calcificate preesistenti  al trapianto renale (13). Infatti Kasiske (14) ha dimostrato come l’incidenza di eventi coronarici acuti sia ridotta nel tempo nei trapiantati ( sia da donatori viventi che da cadavere) rispetto ad un gruppo di controllo di pazienti in emodialisi ( in lista d’attesa per trapianto renale). DeLoach (15) sottolinea come le calcificazioni aortiche nei pazienti con trapianto renale siano predittive di aumentato rischio di eventi cardiovascolari e di mortalità su un periodo di 8 anni di osservazione e come i fattori di rischio di maggiore valenza su questi riscontri, siano per la comparsa di eventi cardio-vascolari, il diabete e lo score di calcificazione mentre per la mortalità agisca anche il tempo di dialisi. Recenti studi (16) hanno aggiunto quale ulteriore fattore predisponente all’insorgenza e progressione delle calcificazioni, la presenza di microinfiammazione ( espressa con Proteina C reattiva) e di altre sostanze quali Fetuina A e Osteoprotegerina , già coinvolte nell’etiopatogenesi delle calcificazioni vascolari nelle fasi di uremia terminale, anche nei trapiantati. Altri studi (17) hanno messo in relazione la presenza di uno stato di microinfiammazione nei trapiantati, con un peggiore outcome dell'organo trapiantato, di aumentato rischio di eventi cardiovascolari e di mortalità su un periodo di osservazione di 14 anni. Dati confermati anche dal nostro gruppo (18) che ha evidenziato come la progressione delle calcificazioni coronariche sia legata ad uno stato infiammatorio ed abbia negativi effetti anche sugli  indici di funzione dell'organo trapiantato ad un anno dal trapianto. Perciò la strategia di prevenzione delle problematiche cardiovascolari passa per una prevenzione primaria sulla popolazione generale, con il controllo dei livelli di pressione arteriosa e di albuminuria, per una prevenzione secondaria in presenza già di IRC e cardiopatia per ridurre la progressione della malattia renale e cardiaca, con il fine ultimo di ridurre anche il tasso di mortalità legato a queste problematiche

Conclusioni:

smettere di fumare, perdita di peso, ridurre i livelli di pressione arteriosa attraverso anche attività fisica – restrizione sodica e terapia farmacologica, controllare l’iperglicemia e la dislipidemia, ridurre la proteinuria con Ace-inibitori e Sartanici, riferimento al nefrologo in una fase iniziale dell’insufficienza renale, sono i cardini della prevenzione da adottare nella popolazione sana e nel nefropatico. Mentre per i pazienti in dialisi, obbligatorio è migliorare il controllo delle alterazione del metabolismo fosfo-calcico e dell’ iperparatiroidismo con farmaci o con la chirurgia, il controllo ottimale dello stato ipertensivo, della dislipidemia-metabolismo glucidico e dello stato di microinfiammazione. Vista l’evolutività del quadro clinico cardio-vascolare è importante focalizzare anche le strategie di prevenzione da adottare nel trapianto renale cercando di aumentare l'offerta di trapianto ad una più ampia popolazione di dializzati e ricercando una personalizzazione della  terapia immunosoppressiva 

  

Bibliografia

1)      McCullough PA et al: Indipendent components of chronic kidney disease as a cardiovascular risk state: results from the Kidney Early Evaluation Program ( KEEP). Arch Intern Med 2007

2)      Fommei E et al: Captopril radionuclide test in renovascular hypertension: a Euroepan multicentre study. Eur J Nucl Med 1993

3)      Maschio G et al: ( AceInhibition in Progressive Renal insufficincy) Study Group: The effect of the angiotensin converting enzyme inhibition benazepril on progression of chronic renal insufficiency. New Eng J Med 1996

4)      Ruggenenti P et al: Ramipril in non-diabetic renal failure (Rein Study). Lancet 1997

5)      Hou F et al:  Efficacy and safety of benazepril for advanced chronic renal insufficiency. New Eng J Med 2006

6)      Jensen JS et al: Arterial hypertension, microalbuminuria and risk of ischemic heart disease. Hypertension 2002

7)      Hillege HL et al: Prevend ( Prevention of REnaland vascular End stage Disease) Study. Circul 2002

8)      Kestenbaum B et al:: Serum phosphate levels and mortality risk among people with chronic kidney disease. J Am Soc Nephrol 2005

9)      Kronmal RA et al:: Risk factors for the progression of coronary artery calcification in asymptomatic subjects: results from the Multi Ethnic Study of Atherosclerosis MESA. Circul 2007

10)  Blacher J et al: Arterial calcifications, arterial stiffness and cardiovascular risk in end-stage renal disease. Hypertension 2001

11)  Rumberger JA et al: Electron beam computed tomographic coronary calcium scanning: a review and guidelines for use in asymptomatic persons. Mayo Clin Proc 1999

12)  Chertow GM et al: Determinants of progressive vascular calcification in haemodialysis patients. Nephrol Dial Transpl 2004

13)  Briggs JD et al: NDT 2001 Cardiovascular complication in renal transplantation. Nephrol Dial Transpl 2001

14)  Kasiske B et al: Acute myocardial infarction and kidney transplantation. J Am Nephrol Soc 2006

15)  DeLoach SS et al: Aortic calcification predicts cardiovascular events and all-cause mortality in renal transplantation. Nephrol Dial Transpl 2009

16)  Mazzaferro S et al: Progression of coronary artery calcification in renal transplantation and the role of secondary hyperparathyroidism and inflammation.  Clin J Am Soc Nephrol 2009

17)  Kruger B et al: Is inflammation prior to renal transplantation predictive for cardiovascular and renal outcomes? Atherosclerosis 2010

18)  De Paolis P et al:Modification of coronary artery calcification after one year in renal transplantation and correlations with graft function and inflammatory index. ( in press)