IL TEMPO BIOLOGICO: CAMBIAMENTI ANATOMICI E BIOMECCANICI NEGLI ANNI, CASCATA DEGENERATIVA E DINTORNI

 

G. Innocenzi

 

 

 

  Due aspetti fondamentali nella biomeccanica della colonna vertebrale sono rappresentati dalla mobilità e dalla stabilità.

 

  Per quanto riguarda la prima, in generale possiamo dire schematicamente che i movimenti di flesso-estensione sono eseguiti nella misura più ampia a livello degli ultimi segmenti lombari, quelli di rotazione dai primi segmenti cervicali mentre, quale che sia il movimento considerato solo pochissimi gradi di mobilità sono possibili per la colonna dorsale.

  Un aspetto abbastanza sorprendente riguardo la mobilità della colonna è stato evidenziato da uno studio di Bible et al (J. SpinalDisord&Tech, 2010) nel quale sono state analizzate 15 comuni attività quotidiane (camminare, radersi, alzarsi da una sedia, ecc). E’ stata misurata l’ampiezza del movimento necessario per ogni attività ed è stato valutato il functional ROM cioè quanto del movimento “disponibile” viene effettivamente usato ogni volta. Se consideriamo l’ampiezza della flesso-estensione, mediamente utilizziamo circa l’11% del movimento possibile, se consideriamo i movimenti di bending e di torsione necessari per queste attività, si scende rispettivamente al 6 e al 5%!

Quindi, per le nostre attività ordinarie sfruttiamo solo una piccolissima quota delle nostre possibilità di movimento.

 

  Poche questioni nell’ambito della chirurgia spinale sono dibattute come la stabilità e il suo opposto, la instabilità. Sul piano qualitativo, è sempre valida la definizione classica di White e Panjabi (1990) secondo cui la stabilità è la capacità della colonna di sopportare carichi fisiologici senza disallineamenti dei corpi vertebrali e senza che si producano danni al contenuto mieloradicolare della colonna. L’argomento è di una assoluta complessità. Reeves (Clin. Biomech;, 2007) ne fa una sintesi eccellente e invita, citando la parabola indiana dei sei ciechi e dell’elefante (per ognuno l’elefante era qualcosa di diverso a seconda della parte che toccava: una corda per chi toccava la coda, una colonna per chi toccava la zampa, ecc), ad evitare visioni troppo particolari. Peraltro i moduli di elasticità-mobilità e robustezza-rigidità della colonna cambiano e si modificano la loro proporzione a seconda del tipo di movimento/postura considerata.

  Sul piano clinico, la condizione di stabilità viene valutata direttamente con esami di imaging dinamici (RX e RMN up-right) e indirettamente con RX, TC e RMN che possono documentare segni suggestivi di instabilità come la joint effusion o gli osteofiti da trazione.

 

  L’elemento cruciale per la salute e la efficienza della colonna è il disco intersomatico. Si tratta di una struttura fortemente idratata nella sua parte centrale (circa 80%) per l’alto contenuto di glicosaminoglicani e meno idratata, con maggior componente connettivale, nella parte periferica, anulus, con funzioni di contenimento del nucleo.

  Quando si determina una alterazione dei glicosaminoglicani e quindi della idratazione discale, si avvia un processo di degenerazione che determina una serie di conseguenze morfologiche e funzionali su tutte le componenti (osso, cartilagine, ecc). Il disco perde la sua elasticità, si assottiglia, si fessura.

  E’ ancora valido lo schema della cascata degenerativa proposto da Kirkaldy-Willis nel 1982. Secondo tale schema nella cascata degenerativa vi è una sequenza di tre fasi:

 

1° fase: è quella della disfunzione della unità interessata. Il disco inizia a disidratarsi, la sua efficacia come shock absorber decresce, si può avere una protrusione oppure, per la confluenza di fessurazioni della parte periferica, la dislocazione di una parte del nucleo polposo, cioè l’ernia discale. La unità colpita è stabile.

 

2° fase: è quella della instabilità. Si verifica un ulteriore danneggiamento discale, si sviluppa una alterazione del sistema faccettale con sublussazione delle faccette, lassità articolare raccolta liquida intra-articolare. Possibile scivolamento vertebrale.

 

3° fase: è quella della stabilizzazione. Sostanzialmente la struttura discale è regredita ma fra le vertebre si è sviluppato del tessuto fibrocalcifico e del tessuto osseo con conseguente stabilizzazione. Tuttavia, la ipertrofia dei massicci articolari, la osteofitosi margino-somatica, l’ispessimento del legamento giallo determinano una riduzione del calibro del canale lombare e quindi una condizione di stenosi.

 

  Queste tre fasi possono svolgersi in tempi e con velocità diverse in due o più metameri. Naturalmente, le opzioni terapeutiche ( da quelle farmacologiche e fisioterapiche a quelle chirurgiche) vanno scelte in funzione della fase del processo degenerativo, del quadro clinico e delle condizioni generali del paziente.

 

 

  Le diverse tecniche d’imaging prima ricordate ci forniscono informazioni morfologico-funzionali sullo stato del tratto di colonna patologico ma è, ovviamente, fondamentale evitare di “curare le immagini”. I dati radiologici vanno integrati con quelli relativi alla storia e al livello di compromissione dell’autonomia del paziente per cercare di realizzare una tailored surgery.

 

PER LA CORRISPONDENZA:

Dott. Gualtiero Innocenzi

Neurochirurgia, IRCCS Neuromed, Pozzilli (IS)

 

innocenzigualtiero@tiscali.it