USI E COSTUMI NUZIALI CHE VANNO SCOMPARENDO

 

         Fabio Liguori *

 

         Il senso di nazione si identifica ovunque nell’amore per le origini, e le tradizioni popolari, attraverso gli usi e costumi delle varie epoche storiche, ne costituiscono il substrato che riflette i valori del momento. Quelle nuziali, basate su precise regole e comportamenti, sono le tradizioni che più tenacemente si conservano e caratterizzano le popolazioni che le rispettano.  

         Praticate quasi con religiosità le usanze si consolidano e, tramandate, diventano consuetudine. Effetto dell’evoluzione sociale e culturale d’ogni civiltà, nei tempi lunghi però cambiano sovrapponendosi inizialmente alle precedenti, per finire poi con lo scalzarle e assumere forme diverse. Ne è un esempio la trasformazione dei contadini in operai che, conseguenza anche della motorizzazione e dell’inurbanamento, ha praticamente cancellato l’antico, saggio detto popolare “mogli e buoi dei paesi tuoi”; o il fatto che, dopo la contestazione giovanile del ’68, ci si sposasse anche in jeans.  

         Forma di contratto solitamente a tempo indeterminato, ma suscettibile di revoca nelle società che prevedono appositi istituti giuridici (separazione, divorzio, ripudio), il matrimonio è la basilare esperienza umana che radicalmente cambia la vita di due persone. Non a caso viene celebrato o davanti l’altare di una comunità religiosa o dinanzi ad un funzionario con tanto di fascia tricolore. A rappresentare che l’unione, non sempre romantico coronamento di un sogno (possono prevalere ragioni economiche o di convenienza), avviene anche nell’interesse della collettività.

Gli elementi alla base del contratto nuziale erano, nell’antichità: l’appartenenza ad una stessa religione, razza, ceto sociale e, naturalmente, la posizione economica dei contraenti. Nel Medioevo il matrimonio veniva contratto per puro interesse;  ancor più, nel Rinascimento, i contratti nuziali si traducevano in mezzo per ampliare proprietà terriere ed accrescere ricchezze familiari, accentuando in tal modo la disparità tra classi sociali. Non vi era spazio per l’amore, così che la passione veniva cercata tra cortigiane e amanti.

Con l’avvento delle rivoluzioni americana e francese del ‘700, e l’affermarsi del pensiero illuminista, le popolazioni cominciano a contestare l’arroganza delle regole imposte dall’aristocrazia e riscoprono i valori del matrimonio che inizia ad avere un significato diverso, entrando a far parte dei fondamentali diritti dell’uomo: si comincia, cioè, a sposarsi per amore. Ma è solo con il romanticismo del ’800 che prendono definitivamente forma buona parte delle tradizioni che ancora oggi conserviamo: l’abito bianco e lungo, il ricevimento, la torta nuziale.

         L’epoca “d’oro” del matrimonio va dall’inizio del XIX secolo alla fine degli anni ’60 del XX, in cui si consolida la famiglia moderna. I cardini del mistero nuziale sono: la differenza sessuale, il dono totale di sé e l’apertura alla vita. E la scala dei valori rappresentata da amore, eros, sessualità e procreazione è moralmente e socialmente ammessa solo all’interno dell’istituzione matrimoniale. La nuzialità e la fecondità sono elevate, bassa la frequenza delle separazioni, scarse le forme alternative di coppia (il cosiddetto “concubinato”).

A causa dell’indissolubilità tanto per la Chiesa che per lo Stato, prima della legge sul divorzio (1970) dal matrimonio non si tornava “indietro”: contrarlo era dunque una cosa “seria”. Non mancavano certo, in seguito, incomprensioni, litigi, difficoltà anche superiori all’oggi, se non altro per la povertà che caratterizzava molte classi sociali. Ma tutto si affrontava con la volontà di “rimediare” in qualche modo alla situazione. E se di mezzo c’erano figli, ogni ostacolo (almeno all’apparenza) veniva superato.

L’intelligenza di un popolo sta nel non disperdere la memoria storica, perché chi non conosce il suo passato è destinato ad essere “straniero” nella sua terra; in tal senso i nostri antenati erano lungimiranti. Infatti, di là dalla comprensibile diversità di tempi e luoghi, le usanze e gli adempimenti d’obbligo che tradizionalmente precedevano il matrimonio dovevano servire quale occasione, per i nubendi, per ben meditare sul grande passo che stavano compiendo. In tal modo la “tradizione” non riguardava soltanto costumi e consuetudini di secoli, ma assumeva anche il significato di ciò che di buono e duraturo si era costruito nel passato, quindi d’esempio ed ammonimento per il presente.

E’ difficile, per i giovani, immedesimarsi nelle atmosfere così rarefatte che avvolgevano la vita dei loro genitori e nonni soprattutto in provincia e nelle comunità di campagna o montagna, e che gradualmente sono evaporate dopo che la seconda guerra mondiale ha aperto la strada al modernismo e al tramonto di tanti valori morali, civili e religiosi. E’ invece facile oggi, per loro giovani, conoscersi e incontrarsi come e quando vogliono (discoteche, pizzerie, viaggi, internet), e se trovano lavoro “mettersi insieme” e decidere solo in seguito se convivere o passare a nozze; rimandando soprattutto il tempo dell’avere figli.

Nel passato non era così. A quei tempi, tra l’adolescenza e la maturità esisteva solo un passaggio fugace prima di chinare la schiena nei campi (o in bottega) per il resto dei propri giorni. Le ragazze in età da marito, poi, raramente uscivano di casa. Per prima cosa venivano le faccende domestiche e l’approntamento del corredo, e tutto si esauriva tra il claustro ed i vicoli del centro storico. Varcare questi confini era difficile, perciò lo spasimante aveva rare occasioni per incontrare l’amata, anche perché ben poche erano le feste. Bisognava inoltre rispettare volontà paternalistiche, chiacchiericcio della gente e moralità consolidata nel tempo.

Tra i costumi nuziali, secondo un antico detto ogni sposa doveva indossare qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, qualcosa di prestato, qualcosa d’azzurro e qualcosa di regalato. Il capo di biancheria nuovo e quello vecchio simboleggiavano il passaggio dalla potestà paterna alla nuova condizione sociale. Chiedere in prestito qualcosa doveva dimostrare la stretta partecipazione alla cerimonia di persone care. L’oggetto azzurro (in genere una giarrettiera con fiocco blu) ricordava l’uso ebraico di ornare la sposa con un nastro di questo colore, segno di purezza e fedeltà. Infine, l’oggetto regalato doveva assicurare ricchezza.

Diverse usanze hanno resistito al boom economico, ai mitici anni sessanta e plumbei anni settanta, alla televisione. La scuola di massa, il benessere diffuso, il modernismo e  l’imposizione dei mass-media hanno rivoluzionato il piccolo mondo degli usi e costumi nuziali. A segnarne l’estinzione di alcuni ha contribuito l’affermazione dei giovani d’oggi, quella classe sociale sconosciuta fino agli anni ‘50 quando erano bassi gli indici di culturalizzazione e la povertà era quasi endemica.

C’è da chiedersi se l’abbandono delle “regole” che, sempre con la rigorosa partecipazione delle due famiglie, precedevano le nozze (corteggiamento, fidanzamento “ufficiale”, scambi di doni simbolici come “pegni” visibili, la “promessa” in Comune ed in Chiesa a sottolinearne la “sacralità”, il corteo nuziale che per alcune classi rappresentava la “scalata” ad un superiore gradino sociale), non abbia in parte concorso a sminuire l’importanza e la durata degli odierni matrimoni. Che naufragano sempre più spesso, e in tempi sempre più brevi (se non addirittura al ritorno dal “viaggio di nozze”), favorendo il diffondersi di forme d’unione precarie e provvisorie senza obblighi sociali e vincoli solidali.

E qui non si tratta di sposarsi in Comune o in Chiesa, o di dimostrare che la famiglia fondata sul matrimonio sia una specie di “angolo di paradiso in terra” senza difetti né peccati; ma di capire perché una coppia eterosessuale che dice di amarsi e stimarsi (magari da anni) non voglia certificare, di fronte alla comunità, la lealtà di quest’affermazione e la convinzione della durata dell’unione.        

         Senza dover credere che l’amore che porta a formare una famiglia, nella famiglia debba poi conservarsi immutabile. Senza essere la fabbrica della felicità individuale, la famiglia è il laboratorio della specie umana dove scorre (e si allarga) il fiume della vita.

         Resta il rammarico per alcune delle tradizioni nuziali perdute che in qualche modo avrebbero potuto contribuire a contenere la grave crisi che l’istituto matrimoniale sta attraversando.

 

* Professore a contratto di Bioetica Applicata, Corso di Laurea in Infermieristica, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienza”, Roma