Prolusione nella seduta inaugurale del 297° anno accademico – Roma, 8 novembre 2011

“LA SANITA’ IN ITALIA DAL 1861 AL 2011”

Dott.ssa Laura Gasbarrone – Presidente della Accademia Lancisiana

Molte istituzioni e associazioni nei loro diversi contesti hanno quest’anno ricordato i 150 anni dell’unità d’Italia. Anche l’Accademia Lancisiana ha voluto celebrare questa ricorrenza ripercorrendo le tappe della sanità in questi 150 anni. E’ questo un percorso già intrapreso in molti ambienti scientifici e sanitari, ma per tutti fa sicuramente testo la celebrazione effettuata da Walter Pasini nel corso del convegno nazionale del maggio u.s. presso il CNR, da cui è scaturita una bellissima ed esaustiva pubblicazione.

Il tempo a disposizione in questa sede non ci permetterà di essere altrettanto esaustivi; saremo sicuramente lacunosi su molti aspetti. Cercheremo comunque di fare il viaggio a ritroso nella sanità dal 1861, esaminando gli aspetti fondamentali dell’organizzazione dall’epoca ad oggi e le tappe importanti che hanno costituito la differenza da allora ad oggi.

Celebrare i 150 anni della unità d’Italia significa comunque rendere omaggio a Giuseppe Garibaldi, l’Eroe dei due Mondi, artefice primo della unificazione dell’Italia divisa. Garibaldi è il simbolo di questa vicenda, il simbolo di una corrente di pensiero e di un fenomeno sociale, politico e culturale identificato nel “garibaldinismo”, con il quale si condividono il pensiero di un’idea romantica della nazione, la volontà di partecipare in prima persona al farsi della storia, la fedeltà al gruppo, il culto del capo, ma soprattutto la memoria delle azioni “fatte insieme”; un processo che non si risolve o non si spiega solo nella partecipazione agli eventi bellici o alle battaglie del Risorgimento, ma che ha in sé anche l’idea o la convinzione di rappresentare o di sperare se non in una “altra Italia” almeno in una “Italia migliore”.

Ricordiamo rapidamente, anche per entrare nel contesto sanitario di quell’epoca, la partenza di Garibaldi nella notte del 5 maggio 1860 da Quarto con l’imbarco dei suoi uomini sulle navi a vapore Piemonte e Lombardo, la tappa dopo due giorni sulle coste toscane dove si rifornisce di armi e l’arrivo a Marsala l’11 maggio. Faceva parte dell’impresa anche il suo medico Pietro Ripari, organizzatore del servizio sanitario della spedizione e primo protagonista della assistenza medica prestata a Garibaldi quando, due anni dopo il 29 agosto 1862 durante la battaglia in Aspromonte, fu ferito gravemente. La storia dell’incidente di Giuseppe Garibaldi è stata minuziosamente raccontata proprio da Pietro Ripari in un libro pubblicato a Milano nel 1863; per quell’epoca, anche in considerazione dell’illustre paziente, furono chiamati a consulto numerosi chirurghi per un caso che si presentava subito di difficile soluzione. Garibaldi rischiò l’amputazione a causa di una sopravvenuta infezione poiché, vista l’impossibilità di stabilire con certezza se c’era o no un proiettile ritenuto poiché non si disponeva ancora dei raggi X, vari illustri pareri assolutamente discordi tra di loro si alternarono al suo capezzale. Eravamo sicuramente in epoca priva di strumenti all’avanguardia e priva di raccomandazioni dettate da linee guida. Furono Ferdinando Palasciano ed il francese Auguste Nélaton a decretare la sorte fausta della gamba di Garibaldi: il chirurgo francese, tornato in patria, invia ai colleghi italiani due sondini con sfera di porcellana di sua invenzione per verificare la presenza di proiettili nelle ferite: a contatto con il piombo del proiettile la sfera di porcellana annerisce confermandone la presenza. Fu così che si decise di intervenire asportando il proiettile, tuttora conservato nel museo del Risorgimento a Roma insieme allo stivale con visibile il foro del proiettile, salvando la gamba di Garibaldi.

 La notizia di questo evento ebbe una risonanza a dir poco mondiale, poiché il numero di Lancet del 23 aprile 1864 riportò la recensione del libro di Ripari, pubblicando anche la riproduzione del proiettile estratto e lo schema della localizzazione della ferita sulla gamba. Certamente si trattava di un eroe e delle sue gesta, per cui anche i fatti relativi alla sua salute, come accade oggi agli uomini pubblici, divennero di pubblico dominio.

Gli esiti dell’intervento che salvò in extremis la gamba di Garibaldi e la grave artropatia di cui soffriva lo costrinsero poco dopo ad utilizzare una carrozzina per muoversi. E’ possibile quindi affermare che dalla seconda metà del 1862 Garibaldi iniziasse ad utilizzare quelli che oggi definiamo “presidi sanitari” (bastoni, stampelle, letti ortopedici, poltrone reclinabili ecc.) e che le conoscenze mediche dell’epoca avevano già prodotto, come il letto donatogli da Palmerston e che rappresentava il “top” nel settore. Nel periodo 1875-1882 la malattia costrinse Garibaldi a trascorrere gran parte del suo tempo in carrozzella, con la quale riuscì a compiere anche alcuni viaggi giustificandoli con la necessità di sottoporsi a cure termali. La necessità di doversi spostare in carrozzina a Caprera, sia in casa che fuori casa, determinò un costante abbattimento di barriere architettoniche sia nelle aree circostanti che nella parte vecchia della casa che nella nuova stanza donatagli dalla moglie Francesca in occasione di un compleanno. Pertanto è possibile affermare che la prima abitazione, “ante litteram” priva di barriere architettoniche costruita in Italia fu l’ampliamento della casa dell’eroe a Caprera.

Durante tutta la sua malattia Garibaldi fu assistito dall’infermiera Jessie White Mario, giornalista e scrittrice inglese, soprannominata Miss Uragano per il suo attivismo; appassionata alla medicina tentò invano di iscriversi alla facoltà e si accontentò di una formazione da autodidatta e di tipo infermieristico. Nel maggio 1860, saputo della spedizione dei Mille, Jessie aveva lasciato Lugano per Genova e il 10 giugno si imbarcò, con destinazione Palermo, sulla nave Washington, insieme a volontari italiani e stranieri e personale sanitario a supporto dell'impresa di Garibaldi, che le affidò il compito dell'assistenza dei feriti. Era l’unica donna della spedizione. Mentre il marito prendeva parte ai combattimenti, lei soccorreva i feriti sui campi di battaglia e, anche dopo l'ingresso trionfale di Garibaldi a Napoli il 4 settembre 1860, continuò ad occuparsi della direzione degli ospedali da campo. A soli 29 anni si era già conquistata la fiducia di coloro che avevano combattuto per l'unità d'Italia. Continuò a servire la causa italiana ogni qualvolta Garibaldi la chiamasse e, dopo lo scontro in Aspromonte del 29 agosto 1862, fu lei a curare il generale ferito, prigioniero nella fortezza del Varignano, assistendo anche il chirurgo nell'estrazione della pallottola.

Quali erano i problemi sanitari dell’epoca? Le cose lasciavano molto a desiderare. La miseria era causa di malattie particolari come la pellagra per deficit vitaminico a causa della alimentazione insufficiente a base di granoturco; la malaria era diffusissima nelle regioni paludose della Maremma, delle Paludi Pontine, del Polesine, della Sardegna. Molte malattie infettive mietevano vittime: il colera, che di tanto in tanto compariva e faceva strage fra la popolazione; il tifo, diffuso per la scarsa igiene e per la mancanza di acquedotti specie nelle terre meridionali. Altrettanto grave il problema delle abitazione, spesso del tutto malsane e insufficienti alla crescente popolazione: una parte di questa era costretta a vivere in grotte, in capanne, in cantine o, nel migliore dei casi, entro misere stanze, talora addirittura prive di finestre.

Cosa avvenne quindi con il Regno Unito? Si sentì subito l’esigenza di regolamentare alcuni aspetti, per cui con la Legge n. 733 del 1862 si stabilirono norme per disciplinare gli ospedali per infermi, compresi nelle “Opere Pie” (OO.PP), a cui fu affidata la cura gratuita degli indigenti, nei limiti delle rispettive possibilità patrimoniali. Gli ospedali rappresentavano all’epoca delle istituzioni “autonome”.

Pochi anni dopo, nel 1865, la tutela della Sanità pubblica viene affidata al Ministero degli Interni, tramite l’Ufficio Sanitario Centrale, mentre a livello periferico le competenze erano del Consiglio Superiore di Sanità, dei Consigli Provinciali e dei Consigli di Circondario. Fu poi istituita in ogni Comune una Commissione Municipale di Sanità che emanò il “regolamento di igiene”.

Ma è nel 1888 che abbiamo la prima vera legge di sanità pubblica, la Crispi – Pagliani, con la quale vengono istituite le figure del medico provinciale, del medico condotto e della levatrice. Accanto a una Direzione Generale della Sanità Pubblica, gli Uffici Sanitari Provinciali con il Medico provinciale che affiancava il Prefetto nella gestione della sanità erano deputati alle attività periferiche. Furono istituite norme per regolamentare l’assistenza medica, farmaceutica, ostetrica, zooiatrica, l’igiene di suolo, abitazioni, alimenti. Inoltre furono emanate misure obbligatorie per contrastare le malattie infettive, fu disciplinato l’esercizio della polizia mortuaria e istituita la vigilanza sulle professioni sanitarie. Questi provvedimenti erano espressione della presa di coscienza da parte degli statisti dell’epoca della necessità di assumere la tutela della salute come impegno pubblico in considerazione della dimensione sociale che avrebbe potuto avere l’insorgenza di stati patologici: la sanità era un compito di ordine pubblico, per tutelare le popolazioni dalla insorgenza di malattie o di epidemie che avrebbero potuto determinare ricaduta negativa sull’ordine pubblico stesso e gravi problemi assistenziali, in un momento storico di assoluta povertà di mezzi.

La figura del medico condotto è quella che meglio esprime le potenzialità della sanità del tempo; Antonio Molfese nel suo libro “Il medico condotto, storia dell’assistenza sul territorio prima e dopo l’unità d’Italia” descrive efficacemente la figura di colui che ha rappresentato per intere generazioni l’artefice di ogni azione tesa a soccorrere qualunque persona infortunata o ammalata; limitato nel suo sapere, spesso si avvaleva del consulto con specialisti ma nell’urgenza era in grado di affrontare qualsiasi situazione, anche la più difficile. Il medico condotto aveva le conoscenze sufficienti a permettergli un ampio raggio d’azione su molte specialità. Come si vede dall’elenco degli strumenti che costituivano il suo corredo, conservati presso la Fondazione IRCCS Ca’ Granda di Milano, era in grado di intervenire in prima battuta per problemi di diversi organi ed apparati; era la figura di riferimento per le famiglie e per i malati, senza limitazioni di orario per 365 giorni l’anno.

Mentre si continua l’opera di unificazione dell’Italia divisa, nasce nel 1863 a Ginevra la Croce Rossa Italiana, associazione neutrale, ad opera dello svizzero Henry Dunant. Contemporaneamente in Italia, negli anni tra il 1865 e il 1888, l’assistenza infermieristica fino ad allora monopolio del personale religioso comincia ad essere prestata anche dai laici, iscritti ad albi professionali, sotto la supervisione del medico. Quindi nel 1877 viene fondata la prima scuola per infermieri aperta a tutti sulla base degli insegnamenti di Florence Nightingale, figura storica della professione infermieristica. Gli ospedali da luoghi che ospitano i pellegrini diventano luogo di cura degli ammalati; nel 1896 viene fondato il Pio Istituto di Santo Spirito in Roma, che riunisce gli ospedali romani: il Santo Spirito o della Consolazione, il San Camillo, il San Giovanni, il Policlinico Umberto I. Si mettono in atto le prime misure a salvaguardia dell’igiene e della prevenzione della diffusione di malattie, e si cominciano a bollire i ferri chirurgici e a  lavare le mani con acqua di cloro: ancora oggi il lavaggio sociale delle mani è il primo fondamento delle procedure di igiene.

Già nel corso del XIX secolo nasce la “mutualità volontaria”; non era un fenomeno nuovo, essendo nota durante l’Impero Romano  per realizzare la solidarietà tra i lavoratori di un’arte o di un mestiere. Nel anni del 1800 Mazzini e Garibaldi ne furono i primi fautori con la creazione ad opera degli stessi lavoratori delle società operaie e delle  società di mutuo soccorso. Il massimo sviluppo si ebbe negli ultimi decenni del XIX secolo, finché con la Legge 80 del 17 marzo 1898 nascono l’assicurazione obbligatoria e l’INAIL.  I datori di lavoro devono dare il loro contributo in parte alle mutue volontarie. L’ampia diffusione di alcune malattie come la TBC, di rilevanza sociale secondo quanto già detto in precedenza, condiziona la nascita dell’INPS per i lavoratori affetti da questa malattia che all’epoca aveva caratteristiche prevalenti di cronicità e quindi di impedimento al lavoro. Sono i primi aspetti di tutela globale della salute degli Italiani ammalati.

I primi anni del ‘900 vedono l’istituzione degli Enti Mutualistici delle diverse categorie di lavoratori: INADEL nel 1925, ENPALS nel 1937, ENPAS nel 1942, INAML nel 1943, INAM nel 1947. Anche se le Mutue hanno rappresentato una ampia diffusione del concetto di tutela dei lavoratori, non costituivano tuttavia la garanzia universale né tanto meno garantivano a tutti la stessa assistenza. Iniziano quindi i primi tentativi di normative uniche in tema di sanità. Nel 1934 viene emanato il Testo unico delle Leggi Sanitarie e nel 1938 stabilite le “Norme generali per l’ordinamento dei servizi sanitari e del personale degli ospedali”. Sono i primi tentativi di mettere ordine in un sistema che, già appena nato, dimostrava evidenti differenze normative e applicative sul territorio italiano. Quindi iniziano i tentativi di centralizzazione del sistema, con l’assunzione delle Funzioni della Direzione Generale di Sanità presso il Ministero degli Interni e con la definizione dei compiti degli organi dipendenti, quali l’Istituto Superiore di Sanità, gli Uffici Sanitari Provinciali e Comunali.

Viene istituita la disciplina per l’esercizio delle professioni e arti sanitarie e la disciplina per lo svolgimento delle funzioni dell’igiene del suolo e dell’abitato, della alimentazione, della polizia mortuaria. Come si intuisce la preoccupazione è ancora quella di tutela dell’ordine pubblico. Contemporaneamente si mette mano alla organizzazione interna degli ospedali, in cui si definiscono divisioni, sezioni e servizi, si classificano i medici in Primari, Aiuti, Assistenti e la Direzione Sanitaria viene affidata  a specialisti in Igiene e Tecnica Ospedaliera.

La necessità di garantire e uniformare i servizi sanitari viene finalmente sancita il 1 gennaio 1948 nella Costituzione della Repubblica Italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” (art 32, comma 1); “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (art 32, comma 2); “La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi fondamentali delle leggi dello Stato, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale o con quello di altre Regioni ….”. Non siamo mai stati carenti in legislatori, sicuramente siamo stati carenti di persone che sapessero o volessero applicare giustamente la teoria che veniva sancita dalle leggi. La norma della costituzione avrebbe dovuto essere applicata dalle regioni, ma ciò non fu. Quindi nel 1958 nasce il Ministero della Sanità con il compito di centralizzare tutte le competenze di igiene e sanità pubblica,  delegando comunque a ospedali e mutue alcuni aspetti applicativi. Ben presto ci si rese conto, ancora una volta, che vi era un eccessivo frazionamento delle competenze, che permaneva una disparità di trattamento degli assistiti da parte dei diversi soggetti erogatori e un evidente squilibrio nella distribuzione di servizi e strutture tra Nord e Sud. Sembrava impossibile programmare dal punto di vista gestionale e finanziario i servizi da istituire e da erogare.

Alla luce di una situazione scarsamente controllata o controllabile, si continuano a fare leggi. Nel 1968 “Enti Ospedalieri e assistenza ospedaliera” regolamenta l’erogazione di assistenza ospedaliera pubblica a favore di tutti i cittadini italiani e stranieri; l’anno successivo, nel 1969, si definiscono l’“Ordinamento interno dei servizi ospedalieri”, l’“Ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche e degli istituti universitari di diagnosi e cura”, lo “Stato giuridico dei dipendenti degli enti ospedalieri”, i “Requisiti minimi” delle strutture di ricovero necessari successivamente al sistema di accreditamento delle strutture, si inizia a parlare del principio di “programmazione” del settore  sanitario.

Ben presto, negli anni tra il 1970 e il 1977, emerge evidente la crisi del sistema mutualistico-ospedaliero: gli interventi sanitari erano forse stati polarizzazione troppo sugli ospedali rispetto ad altri servizi, vi era stato un evidente ritardo nel trasferimento alle Regioni delle competenze, nel frattempo si era assistito ad un incremento della spesa per aumento del costo delle prestazioni, del consumo di farmaci, della durata delle degenze, della duplicazione di prestazioni, dei ricoveri impropri e anche ad un crescente indebitamento degli enti mutualistici nei confronti degli ospedali: sembrano aspetti dei giorni nostri, ma siamo negli anni ’70.

Nel 1978 abbiamo tre tappe fondamentali nella storia della sanità in Italia: la Legge 833 che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale, la Legge 180 che chiude i manicomi, la Legge 194 che regolamenta le interruzioni volontarie di gravidanza. Quindi vengono progressivamente sciolti gli enti mutualistici e il Servizio Sanitario Nazionale deve erogare prestazioni a tutte le categorie di cittadini su tutto il territorio nazionale; è sancito il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura. Negli ospedali viene soppressa la retta giornaliera di degenza. Contemporaneamente si stabilisce la divisione di competenze tra Stato, deputato alla programmazione nazionale, le Regioni deputate alla programmazione regionale, i Comuni e le Unità Sanitarie Locali, alle quali vengono delegate praticamente le competenze applicative del nuovo Servizio Sanitario Nazionale. Alle Unità Sanitarie Locali spettano compiti in materia di educazione sanitaria, igiene della produzione, lavorazione e distribuzione degli alimenti, igiene ambientale, igiene e medicina scolastica, prevenzione e protezione sanitaria, medicina del lavoro e prevenzione degli infortuni, medicina dello sport, profilassi e polizia veterinaria, accertamenti, certificazioni, prestazioni medico-legali, nonché assistenza medico-generica-specialistica domiciliare e ambulatoriale, assistenza infermieristica, assistenza ospedaliera e riabilitazione. Dalla centralizzazione, che rimane unicamente per stabilire le regole generali che dovrebbero essere valide per il territorio nazionale, si passa all’estremo decentramento della organizzazione.

Ben presto ci si accorge che il sistema non funziona, non garantisce quello che ci si aspettava. Sono evidenti subito in primo luogo l’eccesso di burocratizzazione e il ruolo sempre più politicizzato degli organi di governo che contrasta con quello sempre più subordinato dei titolari delle competenze tecniche. La spesa sanitaria è sempre più crescente e fuori controllo, in modo incompatibile con gli equilibri della finanza pubblica; manca una tempestiva individuazione del preventivo di spesa e del fondo necessario, si ipotizza che nella programmazione vi sia un “disavanzo programmato”. Lo scadimento costante delle prestazioni erogate per mancanza di programmazione nazionale e di criteri di priorità fa sì che cresca sempre di più l’insoddisfazione dei Cittadini, dei Governanti per un servizio ingovernabile, degli Operatori, dei fornitori e che ci si renda conto della necessità di modificare il sistema, per cui si introducono dei correttivi e delle forme di controllo: gli atti devono essere trasmessi al Collegio dei Revisori, si istituisce il Prontuario Terapeutico basato su criteri di efficacia e di economicità, viene introdotto il ticket per la partecipazione dei cittadini alla spesa farmaceutica, sistema che da allora in poi comparirà o scomparirà nel giro di poche ore a seconda delle necessità pensate da chi governa. Si inizia a parlare dei concetti di “azione programmata” e “progetto obiettivo”, si definiscono le “alta specialità” e si emanano disposizioni per la riorganizzazione degli ospedali in base a specifici parametri (PL/abitanti, DM, aree funzionali omogenee, Dipartimenti). Il governo degli ospedali passa attraverso varie figure, dal Comitato di Gestione al Comitato dei Garanti, al Commissario e all’ Amministratore Straordinario.

Negli anni tra il 1992 e il 1999 si da il via al processo di “aziendalizzazione” in sanità. La Legge 421 del 1992 Riordino della disciplina in materia sanitaria viene promulgata “Ai fini della ottimale e razionale utilizzazione delle risorse destinate al SSN, del perseguimento della migliore efficienza del medesimo a garanzia del cittadino, di equità distributiva e del contenimento della spesa sanitaria, con riferimento all’art. 32 della Costituzione, assicurando a tutti i cittadini il libero accesso alle cure e la gratuità del servizio nei limiti e secondo i criteri previsti dalla normativa vigente in materia”. Ancora una volta in materia di legislazione non siamo carenti. Vengono quindi istituite Aziende Unità Sanitarie Locali e Aziende Ospedaliere, queste ultime con specifici requisiti, con personalità giuridica e autonomia. Il potere decisionale è attribuito a un organo monocratico di natura tecnico-manageriale, il Direttore Generale, il quale attraverso l’“Atto Aziendale” di indirizzo, elaborato su specifiche linee guida regionali in termini di obiettivi, stabilisce la mission  e le linee di attività della azienda sanitaria o ospedaliera, con attenzione agli aspetti economici di gestione dovendo attenersi al vincolo tassativo del pareggio di bilancio. Si pone attenzione alla qualità delle prestazioni erogate secondo scelte strategiche basate sulla competitività tra aziende. La informatizzazione, dalla quale non si può più prescindere dal punto di vista tecnologico nonostante temibili “paralisi informatiche”, viene introdotta come strumento operativo del controllo di gestione. Si parla di responsabilità e competenze specifiche di tipo gestionale per la dirigenza medica e si introduce un duplice sistema di finanziamento: a tariffa per le Aziende Ospedaliere, a quota capitaria per le ASL. Rappresentanti di enti locali e cittadini vengono coinvolti nella programmazione sanitaria e nei settori del controllo.

Il processo di aziendalizzazione ha introdotto la terminologia aziendale adattandola alla sanità: management sanitario, benchmarking, governo clinico sono modalità operative, strumenti di lavoro; gli standard di qualità per ciascuno dei servizi erogati vengono pubblicizzati onde verificarne il rispetto, ma anche per la verifica da parte degli organi di controllo, i nuclei di valutazione.

 Ma nel frattempo bisogna cercare di programmare, per cui si parla nuovamente di Piano Sanitario Nazionale e di Piano Sanitario Regionale. Si assegnano risorse finanziarie alle aziende sanitarie come se fossero investimenti da fare. Le tariffe previste per i DRG per i ricoveri e quelle del tariffario nazionale per le prestazioni ambulatoriali costituiscono gli introiti.

Segue la riorganizzazione della rete ospedaliera rispettando standard di dotazione PL/abitanti (compresa riabilitazione e lungodegenza), utilizzo PL, tasso di ospedalizzazione, di cui periodicamente si parla ancora adesso. Anche la Dirigenza medica viene riorganizzata su due livelli, gli incarichi dirigenziali del ruolo sanitario prevedono “esclusività di rapporto” e “rapporto fiduciario” e sono rinnovabili previa verifica, rispondendo a criteri di responsabilità gestionale in relazione agli obiettivi attribuiti.

I Medici di Medicina Generale e i Pediatri di Libera Scelta subiscono anch’essi l’aziendalizzazione: compenso capitario per assistito, diritto alla libera scelta del medico da parte del cittadino nel rispetto di un limite massimo, possibilità di revoca/ricusazione, modalità di collaborazione tra medici per assicurare la continuità assistenziale, rispetto di obiettivi di budget e aggiornamento obbligatorio sono specifici aspetti.

Siamo ai giorni nostri; forse abbiamo l’impressione di una sanità frammentaria e frammentata, ma in realtà la necessità di collaborazione e di comunicazione tra le varie realtà è sempre più sentita. Oggi, in un concetto di sanità partecipe ed efficiente, non possiamo fare a meno della organizzazione e della collaborazione delle singole strutture: il concetto di rete è quello che oggi deve unire chi, a vario titolo e per specifiche competenze, si occupa di sanità. Oltre al Servizio Sanitario Nazionale, la rete di “donazione del sangue” e la rete di “donazione degli organi” ne sono un primo esempio, forse non noto a tutti. Rispetto alla prima, oggi contiamo circa 1.600.000 volontari tra Avis, Croce Rossa, Fidas, Fratres, oltre 300 Servizi Trasfusionali, 21 Centri Regionali di Medicina Trasfusionale, 1 Centro Nazionale Sangue che dal 2007 coordina la raccolta del sangue a livello nazionale, solo di competenza pubblica: il risultato sono le 10mila unità di emocomponenti che vengono consumati in un giorno. La rete di donazione degli organi nasce nel 1976 con il Nord Italian Transplant Program, poi Associazione Interegionale Trapianti nel 1989, l’Organizzazione Centro-Sud Trapianti e la Consulta Nazionale Trapianti nel 1994, fino al Centro Nazionale Trapianti nel 1999. Si contano 392 donatori nel 1992 e 1.167 nel 2009; sono stati effettuati ad oggi 43.521 trapianti e un totale di 14.862 donatori.

La rete “Hub and spoke” per l’emergenza costituisce un modello dinamico di assistenza collegato al grado di complessità del paziente: HUB è il centro di riferimento di eccellenza, ad elevata complessità tecnologica, Spoke il centro periferico a minore complessità. Il concetto è assicurare il giusto livello assistenziale in ogni momento, senza  situazioni “up or down”: assistere in un contesto di alta complessità assistenziale un paziente di media complessità clinica non assicura il giusto grado assistenziale, anzi pone paradossalmente il paziente in una situazione di rischio. Sono esempi di reti assistenziali che pongono in collegamento le diverse strutture quella di emergenza-urgenza, le terapie intensive, i centri per i grandi traumi e le grandi ustioni, la rete cardiologica dell’IMA, la cardiochirurgia, la rete per lo stroke, quella neurochirurgica, la rete oncologica, molte altre reti specialistiche. Ma modelli organizzativi per “intensità di cura”, flessibili e collegati alla complessità assistenziale, costituiscono ormai il moderno concetto assistenziale sia in ospedale che sul territorio e dovrebbero costituire la forma di collaborazione tra ospedale e territorio.

Quindi, ricordando le già menzionate condizioni di vita e di salute dei primi anni dell’unità d’Italia, che cosa fa oggi la “differenza” rispetto all’epoca, ovvero quali sono state le tappe fondamentali del cambiamento? In primo luogo le condizioni socio-economiche: la povertà è sicuramente ridotta, non è definitivamente sconfitta, anzi vi sono ancora zone di concentrazione di povertà e oggi, almeno per quanto ci riguarda, siamo costretti a parlare di nuovi poveri, ma ancora diamo un servizio sanitario a tutti. La durata di vita media non superava i 40 anni, oggi è 80 anni per gli uomini e 85 per le donne, con proiezioni di allungamento progressivo fino ad auspicare, per i nuovi giovani, i 120 anni, vedremo poi con quale qualità di vita. Le malattie infettive superate grazie ad antibiotici e vaccinazioni fanno sicuramente la differenza, soprattutto nella ridotta mortalità infantile. La farmacologia ci ha permesso quanto abbiamo detto e ci ha permesso di combattere i tumori con i farmaci antiblastici e oggi con i farmaci biologici. La tecnologia ci ha permesso tutto questo e ha permesso il progresso nella diagnosi precoce e precisa delle malattie: 150 anni fa per capire se c’era un proiettile ritenuto ci sono voluti mesi e il rischio di una setticemia, oggi sarebbe bastata una banale radiografia, per non parlare del progresso di tutte le branche della medicina e delle nuove specialità che sono andate nascendo nel corso degli anni.

A lato di tutto questo, anche le aspettative e le richieste sanitarie sono in continuo aumento. Vogliamo  essere (o dobbiamo essere?) sempre efficienti e rispondenti ai requisiti di integrità fisica, di piena efficienza lavorativa e di autonomia. Vogliamo (o dobbiamo?) essere tutti “sani e belli” SEMPRE. Le aspettative sono tali da non permettere l’accettazione del concetto di non guarigione dalle malattie, a qualunque età, perché comporta a lungo inefficienza, disabilità, dipendenza, necessità di assistenza che noi non possiamo dare (o non possiamo avere?). Viviamo in un’epoca di transizione epidemiologica: con l’aumento della vita media, siamo complessivamente più anziani, più soli, più cronici, più complessi, ma anche più esigenti, più informati, più impazienti, più conflittuali. Cronicità e complessità sono le caratteristiche comuni delle problematiche sanitarie odierne: 25 milioni di Italiani sono affetti da una malattia cronica, quale diabete, cardiopatia, esiti di ictus, bronchite cronica, demenze, Parkinson; ma la cronicità non è appannaggio solo degli anziani, oggi si sopravvive alle malattie a qualunque età, quindi 7,6 milioni di Italiani tra 6 e 44 anni soffrono di una malattia cronica grave, più del 60% delle persone con comorbidità ha un’età superiore a 65 anni. Cronicità significa disabilità, ovvero non autosufficienza: nel 10,3% delle famiglie vi è una persona con disabilità, vale a dire non rispondente al concetto di autonomia fisica che tutti vorremmo. Anche l’età della anzianità oggi è cambiata; l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si è adeguata ai tempi e classifica l’anzianità nelle seguenti fasce d'età: dai 65 ai 74 anni = anziani giovani; dai 75 agli 84 anni = anzianità; dopo gli 85 anni = inizio della grande anzianità.

Quali sono i nuovi strumenti tecnologici e le nuove specializzazioni della medicina? Sicuramente l’informatica, ormai insostituibile, governa la moderna tecnologia, anche se purtroppo “precaria” in alcune situazioni in cui si arriva alla “paralisi tecnologica”; ne sono esempi le cartelle cliniche elettroniche che “comunicano” con altri sistemi; armadi farmaceutici informatizzati per la dispensazione della terapia in monodosi.

Il progresso tecnologico ha determinato sviluppo delle specialità e nascita di nuove branche specialistiche, con confini labili tra luci ed ombre! L’ingegneria sanitaria nasce nel 1898-1899 con il primo insegnamento di Igiene esteso alla Scuola di Applicazione per Ingegneri presso l’università di Torino come materia facoltativa; nata per soddisfare le esigenze dell’igiene in materia di edilizia pubblica, oggi pone soluzioni ai problemi di sanità pubblica posti dagli Igienisti, quali il risanamento di abitazioni, la costruzione di fognature, acquedotti, reti idriche, si occupa di smaltimento dei rifiuti, urbanistica, ospedali, apparecchi per la disinfezione.

Abbiamo già accennato al progresso della radiologia. La Radiologia nasce nel 1895 con Wilhelm Conrad Rontgen che scopre i raggi X; nel 1913 Augusto Righi apre il I Congresso Nazionale della Società Italiana di Radiologia Medica. Scintigrafia, Ecografia, Ecoendoscopia, Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), PET, Radiologia Interventistica, svolgono oggi una funzione insostituibile e importantissima nella diagnostica e nelle applicazioni terapeutiche in tutti i campi della medicina. La Radioterapia è essenziale in Oncologia. Molte sono le ombre della Radiologia, o meglio del suo scorretto impiego: eccesso di indagini, effetti da accumulo di raggi, potranno costituire dei problemi in un futuro prossimo??

Le tecniche di chirurgia robotizzate sono oggi impiegate in tutte le specialità chirurgiche: chirurgia laparoscopica, mini-invasiva; chirurgia endoscopica; cardiochirurgia mini-invasiva, a cuore battente; neurochirurgia in anestesia locale, chirurgia dei trapianti, chirurgia bariatrica, chirurgia protesica sono solo alcune delle nuove attività chirurgiche.

La Telemedicina permette il controllo a distanza di parametri registrati a domicilio e inviati per via telematica, così come il controllo via webcam di situazioni croniche o nel post-chirurgico.

La Medicina Rigenerativa insieme alla Nanomedicina rappresenta oggi una delle più promettenti frontiere della medicina. La prima studia la biologia e le applicazioni delle cellule staminali finalizzate alla ricostruzione di tessuti danneggiati; nel futuro potrebbe costituire alternativa al trapianto e alle sue problematiche. La seconda si occupa di tecnologia di strutture di dimensione nanometrica (1-100 nm) con possibili applicazioni in farmacocinetica e in riparazioni cellulari.

La Medicina Aerospaziale nasce e si sviluppa sul posto: le simulazioni della assenza di gravità non esauriscono i problemi, poiché non esistono sulla terra patologie equivalenti che provochino gli stessi sintomi. Il Medico spaziale è un “tuttologo”, ma collabora con tutte le specialità e con la squadra di tecnici: studia le condizioni di vita non esistenti sulla terra  e i cambiamenti  a carico di tutti gli apparati, durante e dopo i voli spaziali.

La Medicina Estetica è la risposta alla esigenza di essere sempre “sani e belli”; nasconde però aspetti inquietanti in quei casi di magrezza estrema o di “bellezza” a tutti i costi in cui si hanno esiti negativi. In alcuna applicazioni pratiche la valutazione rischio/beneficio non è verosimilmente obiettiva e quindi non rispetta i canoni deontologici della medicina, e in questi casi si assiste unicamente a commercializzazione della salute!

La Medicina del Lavoro si deve al medico Bernardino Ramazzini (1633-1714) il quale per primo identificò il nesso causale tra determinate lavorazioni e malattie ad esse correlate nel suo famoso libro “De morbis artificium diatriba”. Promotore della rinascita della medicina del lavoro in Italia, così come oggi noi la concepiamo, fu Luigi Devoto (1864-1936) il quale andò a dirigere la Clinica del lavoro di Milano, istituzione nata per i lavoratori colpiti da malattie professionali. Nel 1929 nasce la Società Italiana di Medicina del Lavoro. Si deve arrivare al 1994 con la Legge 626 per stabilire i requisiti degli ambienti di lavoro per la prevenzione/protezione delle malattie professionali e per la sorveglianza dei lavoratori. Potremmo chiederci se è viene applicata in tutti gli ambienti e se abbiamo e/o impieghiamo le risorse necessarie viste le frequenti notizie di infortuni sul lavoro.

La Medicina delle Migrazioni è diretta conseguenza della crescente presenza degli immigrati nel nostro paese, che ha provocato conseguenze importanti sul piano sociale, culturale, economico, politico, religioso, ma anche sul piano sanitario, con l’introduzione di nuove patologie poco note e con la nuova diffusione di patologie già controllate, quali la TBC e le malattie sessuali. Soffre di difficoltà dovute alle barriere linguistiche, di difficoltà nel rapporto diretto medico/paziente, della difficoltà di garantire igiene e servizi nelle comunità clandestine. Ha prodotto indirettamente l’avvento di nuove forze lavoro per una professione sanitaria, quella degli infermieri, notoriamente carente: la forza lavoro degli infermieri è costituita per l’11% da immigrati, mentre per i medici è l’1-4%.

La Medicina dello Sport è forse quella che soffre di più ombre. Si occupa di promozione delle attività sportive e di tutela degli atleti, di prevenzione delle patologie negli sportivi, della regolamentazione delle attività sportive. Purtroppo alcune situazioni quali gli sport “estremi”, le cui condizioni mettono chiaramente a repentaglio la vita stessa degli atleti, o il doping “autorizzato” entro limiti definiti, o certe gare in cui ragazzini di 13 anni sono autorizzati dallo Sport e dalla società ad andare a morire in moto ne macchiano sicuramente la deontologia.

La Medicina delle Catastrofi è tutta dei nostri giorni. Ne esiste una classificazione a seconda degli eventi di interesse: eventi naturali quali terremoti, alluvioni, maremoti, tsunami; eventi tecnologici quali gli incidenti stradali, che rispondono di 1.200.000 morti/anno nel mondo, costituendo la seconda causa di morte tra  i 5 e i 29 anni di età e determinando 20-50 milioni di persone ferite o con disabilità residue; eventi sociali, quali terrorismo, e guerre. Comune denominatore è un evento improvviso e imprevedibile, di grandi proporzioni con moltissime vittime contemporaneamente in un ampio scenario, risultato di una unica azione, naturale o provocata dall’uomo. La Medicina delle Catastrofi ha portato alla costruzione, insieme ai tecnici, di piani di maxi-emergenza, di massiccio afflusso feriti, di procedure di evacuazione, di triage in loco con procedure differenti rispetto a quelle abituali applicati in Pronto Soccorso. Molto spesso si inventa nelle circostanze: ricorderete che pochi mesi fa si parlava della possibile caduta di pezzi di satellite in alcune zone dell’Italia e che l’unica cosa certa era l’arco temporale in cui questo sarebbe potuto avvenire, ma non si aveva alcuna certezza di cosa sarebbe potuto avvenire essendo un evento “assai raro” per cui non esistono comportamenti di autotutela codificati da adottare, non abbiamo formulato linee guida di intervento! Fortuna ha voluto che non sia successo niente, si rimanda alla prossima occasione.

A proposito di Medicina Basata sulle Evidenze (EBM) nasce per la applicazione delle migliori evidenze disponibili per la diagnosi e la cura dei pazienti: si tratta in realtà di “raccomandazioni” di comportamento clinico prodotte con metodi sistematici allo scopo di “assistere” i clinici nelle decisioni operative. Se in un primo momento è stata accolta dai clinici sicuramente come aiuto per navigare attraverso la moltitudine delle informazioni fornite oggi dalla scienza, ben presto ha dimostrato luci ed ombre. Quindi se da un lato dovrebbero costituire garanzia di appropriatezza nelle scelte decisionali e criterio di uniformità dei comportamenti dei professionisti, d’altro canto è ormai evidente una dicotomia tra “mondo ideale” delle LG e “mondo reale” dei pazienti complessi e delle realtà ambientali. Le linee guida sono di difficile applicazione ai pazienti complessi, spesso esiste conflitto di interessi negli estensori di LG, e da ultimo non si può negare il ruolo di “controller” dei comportamenti con cui vengono usate dalle Amministrazioni Sanitarie.

La Medicina Narrativa è una delle ultime nate. Basata sul racconto della storia di malattia attraverso il vissuto del paziente, rappresenta oggi il tentativo di recupero del rapporto medico/paziente: il vissuto del paziente e il vissuto del medico vanno a costituire la relazione medico / paziente. “La vita non è quella che è vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”.

Nuovi aspetti che determinano cambiamenti nella medicina di oggi sono quelli relativi a privacy e consenso informato, regolamentati per legge. Gli operatori sanitari sono responsabili del trattamento dei dati sensibili. Si è passati dall’epoca in cui non si potevano chiamare i pazienti per numero ma si dovevano chiamare giustamente per nome e cognome ad oggi, in cui è vietato chiamarli in pubblico per nome e cognome ma dobbiamo chiamarli con un numero! Oppure alla diatriba diagnosi sì, diagnosi no sui certificati! Dobbiamo chiedere ai pazienti l’autorizzazione per fornire informazioni a terzi sullo stato di salute, parenti compresi di ogni ordine e grado, il paziente ha giustamente diritto ad una esauriente e comprensibile informazione sulle procedure e su pro/contro delle alternative terapeutiche. Ognuno esercita il proprio diritto personale alla libera scelta della cura, non delegabile.

Tutto questo ha fatto sì che il rapporto medico/paziente sia enormemente cambiato. Nell’era ipertecnologica i due “attori” del procedimento diagnostico (medico e paziente) non sono più soli. Il medico non è più il carisma della verità scientifica inconfutabile ma deve continuamente riconquistare questo ruolo nei confronti delle aspettative del suo paziente, aspettative ripetutamente proposte da inopportune valutazioni suggerite da elementi confondenti, quali i mass-media, indifferentemente e superficialmente attribuite a tutti i casi clinici in modo uguale: queste informative sono molto spesso fuorvianti! Internet è un’altra opportunità di cui oggi non possiamo fare a meno, ma è deleteria per i pazienti perché non possono avere gli elementi necessari alla interpretazione delle informazioni, quindi finisce per essere anch’essa fuorviante, e deleteria per il rapporto medico/paziente tra cui si pone: oggi solo il 13% dei pazienti si rivolge al medico senza aver consultato preventivamente internet. Inoltre le superspecializzazioni, oggi inevitabili, hanno fatto perdere la visione complessiva del paziente, non permettono la “presa in carico” che il paziente vorrebbe e che si identifica con una tipologia globale di interventi in ordine alla complessità biologica e alla complessità dei determinanti sociali di ciascun paziente. Ma anche noi medici abbiamo abdicato a questo ruolo!

In ultimo diamo un rapido sguardo al ruolo delle donne nella sanità di questi 150 anni. Al momento della proclamazione del Regno Unito le donne laureate in Medicina erano inesistenti. Nel 1859 la legge Casati ammette le donne come “uditrici” al corso di laurea in Medicina. Nel 1877 Ernestina Puritz-Manassei a Firenze e nel 1878 Maria Farné Velleda a Torino sono le prime due laureate in Medicina. Fino al 1902 abbiamo solo 25 laureate in Medicina. Nel 2005 il 60% degli iscritti alla facoltà è donna. Oggi le donne sono il 61% del personale sanitario, MA i posti di responsabilità sono ancora in parte preclusi: solo il 10% è Direttore di struttura complessa e alcune specialità sono tuttora parzialmente precluse alle donne.

L’ultimo aspetto, del quale non vorrei parlare ma solo per completezza deve essere citato, è la Medicina Difensiva, ovvero la pratica di procedure diagnostiche o di misure terapeutiche principalmente come garanzia di responsabilità medico-legale. Pesa per oltre il 10% sulla spesa sanitaria. Distinguiamo una Medicina difensiva attiva che vede come comportamento di tipo cautelativo la prescrizione di esami aggiuntivi non necessari al paziente, e la Medicina difensiva passiva, con l’astensione dall’intervento di cura: il medico evita di occuparsi di determinati pazienti o non esegue interventi ritenuti ad alto rischio. Diretta conseguenze sono gli esami inutili, l’aumento dei costi, l’aumento vertiginoso del contenzioso giudiziario, il deterioramento del rapporto medico/paziente, le problematiche assicurative.  Rappresenta la commercializzazione della medicina al solo scopo economico!

Alla luce di tutto questo, oggi gli Italiani sono soddisfatti della loro Sanità? La soddisfazione dei cittadini italiani nei confronti del loro SSN dimostra nuovamente come in passato una dicotomia Nord/Sud: al Sud la qualità del SSN è giudicata inadeguata nel 50,8%, contro una media nazionale del 26,9%; il SSR è considerato al Sud in peggioramento nel 24,7% contro il 16% della media nazionale; i servizi domiciliari sono considerati soddisfacenti nel 16,8% contro una media nazionale del 30,7%; i servizi territoriali nel 25,6% contro il 44,9%; il Pronto Soccorso adeguato nel 51,5% contro il 69,9% della media nazionale.

Dobbiamo quindi pensare che 150 anni sono trascorsi inutilmente? Probabilmente no, anzi sicuramente no, siamo al 24° posto in una classifica mondiale del “rapporto sullo sviluppo umano”,  abbiamo un SSN che ancora molti ci invidiano, che è ancora in parte garantista, ma non abbiamo risolto i problemi del passato. Di fronte alla complessità che oggi caratterizza la sanità e di fronte alla complessità dei problemi di salute a carico dei fruitori dei servizi che la sanità dovrebbe garantire, la semplificazione che ci viene dettata dai “conti in tasca” non esaurisce il problema, anzi ne determina una ulteriormente complessità. Anche in questo caso, come nel caso della applicazione delle Linee Guida che forniscono soluzioni teoriche, vanno ricercate soluzioni, anche economiche, ma rispondenti alle reali esigenze dei fruitori della sanità, garantendo le priorità.

La storia dovrebbe insegnare, dalla storia non si può prescindere! Nel porto toscano dove Giuseppe Garibaldi si fermò per rifornirsi di armi, ancora oggi tutto ricorda Garibaldi: non c’è una strada che non porti un nome in qualche modo correlato alla sua impresa; in questo luogo si vive ancora oggi di quella storia!

Termino questa passeggiata nei 150 anni della Sanità in Italia ringraziando tutti Voi che siete intervenuti e che avete avuto la pazienza di ascoltarmi, facendo mia, con un po’ di presunzione, la frase che Garibaldi scrisse al termine del suo racconto sull’impresa dei Mille: “Finisco contando sulla vostra simpatia nel credere ch’io avrei desiderato d’essere capace di far meglio”.

 

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