L’ANZIANO  CON SCOMPENSO CARDIACO

 

Giovanni Pulignano*, Donatella Del Sindaco **

 

 

 

 

1.      Dimensione del problema

 

Lo scompenso cardiaco rappresenta la principale causa di ricovero e una principale causa di mortalità e disabilità nella popolazione anziana. L’età media alla  diagnosi è 76 anni e la  prevalenza, aumenta con l’età: è del 2% nelle persone tra i 40 e i 59 anni,  più del 5% tra i 60 ed i 69 anni e il 10% nelle persone di età ≥ 70 anni, al punto da essere definita da alcuni Autori come “la sindrome cardiogeriatrica del 21° secolo” (1-4). I dati Medicare indicano che dal 1994 al 2003, negli ottuagenari si è osservato un significativo incremento di prevalenza, con tassi  di mortalità ancora elevati nonostante la disponibilità di cure efficaci e l’introduzione di nuovi modelli di cura (5).  Lo scompenso cardiaco  contribuisce ad una sostanziale morbilità e mortalità nelle persone anziane ed influisce fortemente  sulla salute pubblica;. Lo scompenso cardiaco è il motivo  di almeno il 20% di tutti i ricoveri tra le persone di età > 65 anni. La percentuale complessiva di  mortalità da scompenso è alta: il 20% dei pazienti muore entro il primo anno dopo la diagnosi ed il  50% muore entro 5 anni(6) e vi è un tasso di riospedalizzazioni  del 50% entro 6 mesi dalla dimissione. Inoltre si osserva un aumento significativo dello scompenso cradiaco a funzione sistolica normale o preservata, la cui prognosi è comunque simile o solo lievemente migliore di quello con funzione sistolica ridotta (7). Lo Scompenso Cardiaco, deve  la sua rilevanza anche dall’ impatto sui costi sanitari (circa il 2% del budget sanitario totale). Dati recenti confermano che anche nel nostro paese i ricoveri per  scompenso cardiaco riguardano in maggioranza soggetti di età avanzata, con un progressivo peggioramento della prognosi al crescere della stessa (8).  Per questi motivi lo scompenso cardiaco dell’anziano rappresenta uno dei maggiori problemi di salute pubblica e necessita di nuove soluzioni per migliorare prognosi e qualità di vita dei pazienti e contenere la spesa sanitaria.  (9)

 

2. Inquadramento del paziente anziano

 

a)     Caratteristiche peculiari del paziente anziano

 

La caratteristica peculiare dell’ anziano con scompenso  è sintetizzata da due termini: eterogeneità e complessità. In queste due dimensioni convergono infatti dinamicamente gli effetti del processo di invecchiamento cardiovascolare, delle cardiopatie, delle comorbidità, dello stile di vita e di fattori socio-ambientali e spiegano le differenze  esistenti fra individui anagraficamente coetanei (10). 

Il “normale” processo di invecchiamento è associato a modificazioni nella struttura e nella funzione cardiovascolare che, pur non rivestendo significato patologico, predispongono l'anziano allo sviluppo di scompenso cardiaco (11) (Tabella I).  Queste si affiancano a modificazioni età-correlate in altri organi e sistemi che possono ulteriormente incrementare il rischio di scompenso cardiaco e, soprattutto, influenzare la risposta alla terapia.  La caratteristica principale dell'invecchiamento cardiovascolare sembra essere una ridotta riserva cardiovascolare legata alla perdita o alla riduzione dei meccanismi  di correlazione e modulazione tra sistema neuroendocrino e sistema cardiovascolare con una ridotta risposta post-sinaptica alla stimolazione adrenergica, con il conseguente aumento delle catecolamine circolanti(11). L effetto finale di queste modificazioni a livello del sistema nervoso autonomo nell’anziano sono riflessi barocettivi più deboli, una ridotta risposta fisiologica ai fattori di stress. A livello vascolare vi è un aumento della rigidità dei vasi sanguigni (dovuta alla perdita di fibre elastiche sostituite da fibrosi e calcificazioni); è presente una ridotta produzione di ossido di azoto da parte delle cellule endoteliali dimostrata sia in modelli animali che umani, con conseguente ridotta attività vasodilatatoria delle coronarie e dei vasi periferici; si osservano alterazioni della matrice extracellulare cardiaca come  un’ aumentata deposizione di collagene, un aumento  del diametro delle miofibrille, un ridotto contenuto di elastina  risultanti nell’ipertrofia del ventricolo sinistro (soprattutto), nella deplezione del numero dei cardiomiociti e in alterazioni della struttura della miosina. I conseguenti disturbi nell’uptake del Calcio allungano i tempi di sistole e diastole. I depositi di amiloide causano la perdita di elasticità e di compliance del miocardio.

L’eziologia dello scompenso non presenta sostanziali differenze tra pazienti giovani ed anziani, in questi ultimi, tuttavia, essa è spesso multifattoriale. Le cause più comuni di Scompenso Cardiaco negli anziani sono la malattia aterosclerotica coronarica  e l’ ipertensione arteriosa, che spesso coesistono; ma anche malattie valvolari come  la stenosi aortica e l’insufficienza mitralica degenerative sono frequenti. La cardiomiopatia ipertrofica, malattia tipicamente diagnosticata in età giovanile, può manifestarsi anche negli anziani dove può essere anche espressione di un’esagerata risposta cardiaca all’ipertensione (cardiomiopatia ipertrofica ipertensiva) e determinare scompenso con funzione sistolica conservata. Altra causa di scompenso cardiaco con funzione sistolica almeno inizialmente conservata è rappresentata dall’amiloidosi cardiaca.  

 Nel Registro IN-CHF (Italian Network-Congestive Heart Failure) dove il 30% dei pazienti aveva un’età >70 anni, al crescere dell’età, aumentava la percentuale di pazienti di sesso femminile, in classe NYHA avanzata, con fibrillazione atriale,  tachicardia ventricolare e  disfunzione renale. Negli anziani prevaleva l’eziologia ischemica e ipertensiva e una eziologia multipla era presente nel 22.8%  rispetto al 10,2% dei soggetti più giovani. Una funzione sistolica ventricolare sinistra conservata (frazione di eiezione>40%) era presente nel 32% dei casi (12).

Tali differenze età-correlate  diventano ancor più rilevanti se si  focalizza l’attenzione sulle fasce di età più avanzata (2-4). Oltre gli 80 anni  la percentuale di donne sale fino al  70%, l’eziologia ipertensiva diventa la più frequente,  il 50% di soggetti ha funzione sistolica conservata (2), il 40% fibrillazione atriale e si associano comorbidità multiple.  

Il 40-50%% dei pazienti con scompenso ha una frazione di eiezione nella norma o solo lievemente ridotta (2,13). I pazienti affetti da Scompenso Cardiaco con funzione sistolica conservata sono più spesso donne anziane, obese e affette frequentemente da Ipertensione Arteriosa o Fibrillazione Atriale.

Gli anziani presentano una rilevante comorbosità (14), che  non comprende solo diabete, insufficienza renale, anemia o BPCO ma anche condizioni età correlate come artrosi, problemi di deambulazione, rischio di cadute, disturbi sensoriali, incontinenza, deficit cognitivo e depressione (15).  C'è una crescente evidenza che indica come le comorbosità contribuiscano ad una prognosi peggiore. La disabilità è frequente nell’anziano con scompenso cardiaco e consiste nella non autosufficienza nello svolgimento delle attività della vita quotidiana, con conseguente necessità di assistenza nelle stesse e costituisce una enorme fonte di assorbimento di risorse assistenziali e ha un importante significato prognostico. L’ approccio di cura all’anziano deve anche prevenire il rischio di perdita di autonomia.   

Nello studio ANMCO INCHF-VAS (Valutazione dell’Anziano con Scompenso) (3,15), condotto  in 205 ultrasettantenni (età media 75.6+4.2 , range 70-92,  68% maschi, 37%  in CF-NYHA III-IV e 32% con funzione sistolica ventricolare sinistra conservata), il 56% aveva almeno una dipendenza e il 40,7% almeno 2 dipendenze nelle attività strumentali della vita quotidiana,   il 12,6 % almeno una dipendenza nelle attività di base della vita quotidiana, il 39% un deficit cognitivo  e  il 68% sintomi depressivi. Un deficit sensoriale,   visivo e/o uditivo, era presente nel 20% dei casi.

Nello studio BRING-UP2,  in 1144 ultrasettantenni la prevalenza di disabilità (38,5%), depressione (48%) e deficit cognitivo (40,7%) era elevata.  La prevalenza di sintomi depressivi, identificata con uno score della Geriatric Depression Scale >6, variava tra 34.5% nei pazienti in classe funzionale NYHA  II al  67% dei pazienti in classe IV (16). I Pazienti depressi con malattia cardiovascolare manifestano più sintomi, risultano meno complianti verso la terapia medica, impiegano più tempo per  tornare al lavoro e alle attività sociali,  e sembrano avere una qualità della vita peggiore.

Il più recente studio IMAGE-HF ha arruolato anche pazienti seguiti da cardiologi, medici di medicina generale, internisti o geriatri (17).  Si osservavano dipendenza nelle BADL nel 40% , dipendenze nelle IADL nel 56%, deficit cognitivo nel 44% e sintomi depressivi nel 47%. Nel complesso, in ogni setting  si osservavano pazienti con un ampia variabilità del quadro clinico, sia in termini di severità di cardiopatia, sia in termini di disabilità.  Le dipendenze nelle attività strumentali della vita quotidiana riguardano la capacità dell’individuo di  vivere in modo indipendente nella comunità e rivestono un ruolo importante nei comportamenti di auto-cura e nella adesione dell’individuo stesso al programma terapeutico, quali l’assunzione dei farmaci, il controllo della dieta, l’utilizzo del telefono, delle finanze e dei mezzi di trasporto mentre quelle di base riguardano l’indipendenza in attività quali mangiare, lavarsi, vestirsi, utilizzare i servizi igienici, muoversi dentro casa  (15).

 

b)     Problemi Diagnostici

Lo scompenso cardiaco nell’anziano è sia sovra- che sottodiagnosticato (3). L’anamnesi può essere resa difficile da deficit sensoriali o disturbi cognitivi e depressione, o da limitazioni motorie che ostacolano la valutazione della capacità funzionale. I sintomi ed i segni sono spesso aspecifici o atipici e le frequenti comorbidità confondono il quadro clinico.  Sintomi atipici, quali confusione, il deficit di memoria, sonnolenza, delirio, episodi sincopali, stanchezza, anoressia, e un ridotto livello di attività, a poco a poco diventano comuni manifestazioni di scompenso negli anziani. Nella popolazione geriatrica, i sintomi gastrointestinali, come nausea,  vomito, stitichezza o diarrea, si verificano più spesso e quando associati all'anoressia portano alla cachessia. Astenia e dispnea da sforzo possono essere causati da condizioni quali obesità, de-condizionamento fisico, depressione, pneumopatie croniche, distiroidismi. Allo stesso modo segni quali rantoli polmonari o  edemi declivi possono essere causati da una pneumopatia cronica, insufficienza venosa, ipoalbuminemia o sedentarietà (3, 12, 18,19).

Tenendo presenti queste peculiarità, agli anziani si applicano le stesse indicazioni diagnostiche delle Linee Guida nella popolazione generale degli scompensati, ma alla valutazione standard andrebbe associata anche una valutazione dello stato cognitivo, della depressione e della capacità funzionale, inclusa la capacità di svolgere autonomamente le attività quotidiane. L'elettrocardiogramma, sebbene non  specifico, è di solito anormale,con un valore predittivo negativo di circa il 90% e può mostrare disturbi del ritmo, blocchi di branca, segni di sovraccarico delle camere cardiache, nonché  segni di ischemia miocardica. La radiografia del torace  dovrebbe far parte dell’ indagine iniziale per lo scompenso. Il riscontro  di cardiomegalia favorisce la diagnosi di Scompenso, soprattutto se associata a congestione polmonare con inversione del pattern vascolare, strie di Kerley e  versamenti pleurici.

L’Ecocardiogramma, raccomandato per la valutazione iniziale di tutti i pazienti con scompenso cardiaco deve considerare le possibili difficoltà tecniche per elevata impedenza toracica (per BPCO, obesità, patologia osteo-articolare) e le modificazioni età correlate dei principali indici. È un esame fondamentale in quanto permette la determinazione delle cause di scompenso, la caratterizzazione del meccanismo prevalente sottostante (disfunzione sistolica e/o diastolica) e il quadro emodinamico.

I test da sforzo hanno un valore limitato per la diagnosi di scompenso cardiaco ma un test massimale negativo nei pazienti non in trattamento farmacologico, esclude la diagnosi. D'altra parte, nei pazienti sottoposti a terapia medica, l'analisi dei parametri ottenuti nel test da sforzo può  avere limitazioni dovute agli effetti farmacologici, tuttavia, la prova da sforzo è utile per valutare la capacità funzionale e la  risposta del paziente al trattamento. Il 6-minute-walk test permette di  valutare la capacità funzionale, è meglio tollerato rispetto alla prova da sforzo, è poco costoso, e può fornire informazioni importanti,  sia di tipo prognostico che terapeutico, nei programmi di riabilitazione. Pazienti che percorrono distanze inferiori a 300 metri mostrano una prognosi peggiore, mentre quelli che percorrono almeno 450 metri sono correlati con tassi più bassi di mortalità e ospedalizzazione. I peptidi natriuretici sono raccomandati come supporto alla valutazione clinica  e prognostica anche nei pazienti anziani con sospetto scompenso cardiaco o dispnea acuta (20,21,22),  ma il loro ruolo nel monitoraggio della terapia resta da definire. I risultati dovrebbero essere interpretati con prudenza perché negli anziani i livelli plasmatici tendono ad essere superiori alla norma  anche in assenza di disfunzione cardiaca e per patologie tipiche dell’età avanzata come fibrillazione atriale, insufficienza renale, bronco pneumopatia, cardiopatia ischemica, indipendentemente dalla presenza di scompenso cardiaco (22).

Le differenti caratteristiche dei pazienti anziani e dei pazienti più giovani con scompenso cardiaco sono riassunte in Tabella 2.

c)      Problemi prognostici

Trattandosi di pazienti complessi, la  prognosi degli anziani con scompenso è  peggiore di quella dei pazienti più giovani  (23) e più difficile da stimare.  Nel Registro IN-CHF l’età è risultata un potente fattore predittivo indipendente di mortalità, con aumento del rischio del 3% per ogni anno di età. Negli anziani di questo studio i predittori indipendenti di morte erano rappresentati  da ricoveri per scompenso, ipotensione e classe funzionale NYHA avanzata (12). Tuttavia, dato che il determinismo della prognosi dipende, oltre che dalla severità della cardiopatia e dalle patologie associate (che rappresentano una rilevante quota di cause di morte), anche dalla disabilità e da condizioni associate all’età, nell’anziano lo studio della autosufficienza e del quadro cognitivo-affettivo potrebbe fornire informazioni prognostiche complementari a quelle squisitamente mediche.  La presenza di deficit sensoriale e cognitivo compromette la capacità di comunicare efficacemente e riconoscere i sintomi di allarme e richiedere un intervento medico. Le dipendenze nelle attività strumentali della vita quotidiana rivestono un ruolo importante nella adesione al programma terapeutico, come l’assunzione dei farmaci, il controllo della dieta, l’utilizzo del telefono, delle finanze e dei mezzi di trasporto. La disabilità, problemi emotivi e sociali possono avere conseguenze sui comportamenti di auto-cura e su decorso e prognosi della cardiopatia.

Recentemente Pilotto  e coll (24) hanno proposto un  Indice Prognostico Multidimensionale (MPI)  per pazienti anziani ricoverati in ospedale. L’analisi multivariata  ha dimostrato che l’MPI è significativamente associato alla mortalità a 24 mesi  mentre i singoli parametri utilizzati per costruire il MPI (ADL, IADL, stato cognitivo e nutrizionale, rischio di decubiti,  comorbidità, numero di farmaci e stato abitativo) non erano associati significativamente alla mortalità.

Comorbilità e disabilità non sono le uniche determinanti della prognosi dell’anziano, il cui stato di salute è spesso reso instabile da una ridotta riserva omeostatica che va sotto il nome di fragilita. Questa è identificata dalla presenza di ridotta capacità funzionale, ridotta velocità di marcia, senso di stanchezza, ipotrofia muscolare, problemi di deambulazione e di equilibrio (25). Nella sua accezione più comune quindi, la fragilità è un’entità distinta dalla disabilità  (di cui precede lo sviluppo e con cui può parzialmente sovrapporsi) e rappresenta  la perdita di riserva funzionale in diversi organi e sistemi, rendendo il soggetto vulnerabile e con una ridotta capacità di risposta agli agenti stressogeni e alto rischio di prognosi avversa e sviluppo di disabilità (25).

Alcuni studi hanno valutato l’impatto della fragilità sulla sopravvivenza (26,27). In una coorte di 190 pazienti anziani con scompenso cardiaco  stabile (27) in cui la fragilità veniva definita in base a uno score basato sulla somma  di 3 variabili (deficit cognitivo, disturbi della deambulazione e incontinenza urinaria), questa  era presente nel 40% dei casi, con un incremento significativo di mortalità al crescere dello score. All’analisi multivariata, l’età avanzata, FE<20%, pressione sistolica <100 mmHg, anemia, assenza di terapia beta-bloccante e fragilità erano predittori indipendenti di morte. Questa relazione tra fragilità e Scompenso Cardiaco  può essere potenzialmente  spiegata dalle comuni anomalie a livello infiammatorio, metabolico e autonomico osservate in entrambe le entità cliniche.

 

d)     Personalizzare e monitorizzare  il trattamento

Anche nell’anziano le misure non farmacologiche comprendono una dieta appropriata, la cessazione del fumo, l’aumento graduale dell'attività fisica, e la vaccinazione anti-influenzale, la riduzione del peso  nei pazienti obesi e la cura nutrizionale in pazienti cachettici.  Inoltre, l’utilizzo di alcune classi di farmaci dovrebbe essere evitato, in particolare gli anti-infiammatori non steroidei, gli antidepressivi triciclici, i corticosteroidi, il litio, gli antiaritmici di I classe.

Negli ultimi decenni numerosi studi clinici hanno chiaramente dimostrato l’efficacia di trattamenti farmacologici come betabloccanti, ACE-inibitori, Bloccanti recettoriali dell’Angiotensina II e antialdosteronici nel ridurre la mortalità e i ricoveri.  Questi farmaci, in assenza di controindicazioni o di documentata intolleranza,  sono raccomandati anche nei soggetti anziani ma, nei trial clinici questo gruppo di pazienti è stato scarsamente rappresentato. Infatti, salvo rare eccezioni pochi trial hanno arruolato soggetti di età>70 anni e virtualmente nessuno ha incluso quelli con >80 anni a causa dei rigidi criteri di arruolamento, che consentivano l'inclusione di individui con funzione sistolica ridotta, ad alta compliance e senza comorbidità, mentre una funzione sistolica normale, bassa compliance  e patologie associate multiple sono caratteristiche peculiari dell’anziano (3, 28). In generale, gli anziani sono più a rischio di effetti avversi rispetto a gruppi di pazienti più giovani. Nelle persone anziane si suggerisce che la terapia sia iniziata con dosi basse, che dovrebbero essere aumentate gradualmente.  Gli intervalli tra le dosi dovrebbe essere più lungo, poichè nell’anziano l’emivita di eliminazione del farmaco è più lunga. La  Clearance epatica è ridotta, quindi farmaci metabolizzati attraverso la via dei citocromi dovrebbero essere somministrati a dosi inferiori per unità di tempo. Dopo  i 65 anni di età, la velocità di filtrazione glomerulare scende del 10 % in 10 anni , i suoi valori risultano inferiori  del 15-25 % nelle donne rispetto agli uomini.

Queste differenze impongono una certa prudenza quando si intendano applicare le indicazioni delle linee guida a individui di età avanzata e richiedono una personalizzazione del trattamento. 

Ad esempio, l’insufficienza renale è frequente e non dovrebbe essere considerata una controindicazione alla terapia con inibitori del RAS, tuttavia le dosi vanno personalizzate e la funzione renale, la pressione arteriosa, lo stato di volume e gli elettroliti attentamente monitorizzati (29). Anche gli antialdosteronici andrebbero attentamente monitorizzati nei soggetti con basso GFR per il rischio di peggioramento della funzione renale e di iperkaliemia.

Poche evidenze sono disponibili sulla sicurezza a lungo termine dei diuretici dell’ansa, che dovrebbero essere somministrati alle dosi minime efficaci per mantenere lo stato di euvolemia ed evitare la resistenza e il deterioramento della funzione renale. D'altra parte, i diuretici sono spesso causa di ipotensione ortostatica e/o di  un ulteriore deterioramento della funzione renale . Nei pazienti più anziani è più spesso osservata l’iperkaliemia con l'uso combinato di antagonisti dell’ aldosterone e ACE-inibitori o FANS.

 La digossina, se somministrata a basse dosi, è efficace anche nei pazienti anziani con disfunzione sistolica e/o fibrillazione atriale che rimangono sintomatici nonostante la terapia standard (30).

I pazienti anziani sono più vulnerabili agli effetti negativi della digossina, poiché essa è escreta prevalentemente  dai reni, e, quindi la sua emivita può essere prolungata 2 - o 3 volte nei pazienti > 70 anni di età . Ecco perché le dosi tra 0,0625 e 0,125 mg/24 h sono raccomandate per i pazienti anziani. Nei pazienti con elevati livelli di creatinina le dosi di digossina dovrebbero essere aggiustate di conseguenza.  

E’ stato dimostrato che una valutazione approfondita e un follow-up adeguato consentono di implementare con sicurezza trattamenti raccomandati come i betabloccanti anche nei pazienti anziani. Nello studio  BRING-UP2 (31),  il 33% dei pazienti era già in trattamento betabloccante, mentre il 31% lo iniziava durante lo studio. Tra i  pazienti senza controindicazioni al trattamento, ben il 76% iniziava terapia betabloccante. Controindicazioni più frequenti risultavano essere broncopneumopatia ostruttiva severa (58%), bradicardia o turbe della conduzione atrioventricolare (20%) e severo impegno emodinamico (17%). Il 75% dei pazienti che iniziavano la terapia betabloccante  la proseguivano per tutti i 12 mesi dello studio, mentre il 14% la sospendeva, prevalentemente per peggioramento emodinamico o della conduzione atrioventricolare/frequenza cardiaca. Ciononostante, oltre il 60% dei soggetti era in trattamento alla fine del follow-up. Considerando le limitazioni metodologiche di questo studio osservazionale, il trattamento si associava ad una riduzione significativa di eventi senza favorire aumento dei ricoveri ospedalieri né peggioramento della disabilità o delle funzioni cognitive (31,32).

Problemi specifici  sorgono quando si vanno a considerare le indicazioni a procedure ad alta tecnologia e assorbimento di risorse come impianto di dispositivi elettrici (defibrillatori e/o resincronizzazione), ablazione a radiofrequenza, rivascolarizzazione,  sostituzione valvolare percutanea e anche assistenza meccanica a lungo termine in pazienti molto anziani.

Per quanto riguarda il defibrillatore, pur avendo numerosi studi randomizzati dimostrato l’efficacia nel ridurre la mortalità  in prevenzione primaria e secondaria, e pur avendo le Linee Guida preso atto che essi vanno considerati solo per soggetti per i quali è possibile una aspettativa generica di vita autosufficiente di almeno un anno - rimangono ampi margini di incertezza. Innanzitutto le Linee Guida (33) non specificano come si debbano stimare l’attesa di vita attiva e lo stato funzionale.  Le donne che oggi raggiungono gli 80 anni hanno ancora una buona possibilità di vivere almeno ancora 8 anni e gli uomini ancora 6 anni mentre nei diversi trial l’età media era di circa 60 anni. Nelle Linee Guida le comorbidità non sono considerate e nei trial rappresentavano un criterio di esclusione. Infine, volontà e aspettative del paziente non sono citate.  Questi problemi hanno un rilevante peso nel processo decisionale: infatti, la complessità e il peggior profilo di rischio degli anziani potrebbe ridurre il beneficio di sopravvivenza offerto dal defibrillatore e aumentare il rischio di complicanze procedurali.  Una  rianalisi per sottogruppi del  MADIT II ha mostrato che alcune caratteristiche erano associate  ad un minore beneficio sulla mortalità: pazienti molto anziani, in classe NYHA avanzata, e con insufficienza renale sembravano non trarre alcun giovamento a causa dell’elevata mortalità non-aritmica a breve termine (34). 

Un secondo problema connesso all’impianto di defibrillatore in un anziano è il follow-up: questo  deve essere più attento e ravvicinato,  può essere caratterizzato da ripetuti shock e determinare un notevole impegno psicologico. L'anziano con comorbilità e disabilità, soprattutto se neurologica e cognitiva, potrebbe non essere in grado di sostenere lo stress. E'opportuno ricordare che le Linee guida  identificano l’impossibilità  a seguire un regolare follow-up come una controindicazione  all’impianto stesso.  In sintesi, nell’impiantare un defibrillatore in un anziano molto compromesso, corriamo il rischio di  offrire un discutibile beneficio prognostico ad un prezzo piuttosto elevato (sia in termini di rischio procedurale che in termini di costo-efficacia). Un’evenienza di questo tipo condurrebbe al peggioramento della qualità di vita, soprattutto  nei pazienti con scompenso  avanzato, i quali più frequentemente andrebbero incontro ad interventi ripetuti del dispositivo,  con tempeste  elettriche, altamente debilitanti sotto il profilo psicologico.  E’ chiaro che, in un ottuagenario con disabilità,  deficit cognitivo e comorbidità severe, la scelta di impiantare o meno deve scaturire da un approfondita disamina di tutte queste variabili, ma anche e soprattutto da una efficace comunicazione fra medico, paziente, familiari e medico curante. Solo questo processo può garantire una valutazione corretta del rapporto rischio-beneficio (35).

Diverso sembra il discorso sulla terapia di resincronizzazione.  In questo caso l’essenza stessa della procedura – un intervento di tipo “curativo”  sul rimodellamento ventricolare più che profilattico – la possibilità di un significativo miglioramento della funzione ventricolare sinistra, della classe funzionale e della qualità della vita è stata dimostrata anche in soggetti di età avanzata (33, 35, 36). Per quanto riguarda il problema se associare sempre il defibrillatore, il miglioramento sostanziale della frazione di eiezione con la resincronizzazione può ridurre significativamente il rischio di morte aritmica, senza tuttavia annullarlo.

L‘ eziologia ischemica dello scompenso cardiaco richiede il ricorso a procedure di rivascolarizzazione come l’angioplastica e il bypass coronarico ma queste sono accompagnate da complicanze più frequenti.. Il più alto tasso di complicanze  si osserva, di solito, nelle donne anziane e nei pazienti sottoposti a procedure di emergenza. Oltre ad una maggiore tasso di mortalità precoce e morbilità  associate a rivascolarizzazione in pazienti anziani il periodo di disabilità e riabilitazione dopo le procedure nelle persone anziane è di solito più lungo.Le complicanze che si verificano durante le procedure invasive riflettono lo  stato biologico e la comorbidità. Le decisioni per quanto riguarda la strategia terapeutica da adottare per la coronaropatia ( farmacologica , PTCA o CABG ) dovrebbero basarsi sull'effetto potenziale della malattia sullo stato biologico del paziente, sullo stile di vita e sulle preferenze individuali.

 

e)     Importanza del percorso di cura

 

E’ evidente che l’approccio convenzionale è inadeguato per un gran numero di cardiopatici anziani. Assenza di continuità, valutazione incompleta, assenza di programmazione alla dimissione e scarsa comunicazione fra i diversi operatori sanitari sono  i problemi principali.

A questi si aggiunge anche la modificazione della struttura sociale (con il venir meno del supporto familiare non ancora sostituito da forme alternative di assistenza sociale e domiciliare) e del Servizio Sanitario (ancora troppo incentrato sull'ospedale, sulla prestazione specialistica e la risoluzione dell'emergenza-urgenza, ma impreparato a gestire al meglio le problematiche specifiche della cronicità). Quasi la metà delle riospedalizzazioni per scompenso cardiaco degli anziani sembrano dipendere da motivi correlati alla disabilità e a problemi psico-cognitivi e socio-ambientali che compromettono la corretta aderenza al piano terapeutico (3).

Questa situazione impone la necessità di percorsi che prevedano la presa in carico in un modello di assistenza continuativa personalizzato,  che tenga conto dello stato funzionale globale, della severità di malattia, della comorbidità e del contesto socio-ambientale del paziente, in grado di seguirlo durante le diverse fasi evolutive della malattia (8). Numerosi studi hanno rilevato, con  l’applicazione di questi modelli di cura, una riduzione dei ricoveri,  un miglioramento della qualità della vita e della capacità funzionale e un contenimento della spesa (37-39) anche in pazienti con diversi gradi di fragilità o con deficit cognitivo (40-41). Tuttavia, gli ostacoli esistenti a livello organizzativo e l'assenza di incentivi concreti ne rendono ancora difficile, al momento, l'implementazione nella pratica clinica quotidiana.

In questa ottica, modelli di cure intermedie come l’assistenza domiciliare o le cure palliative nelle loro diverse modalità di erogazione e affiancate o meno da programmi di  telecardiologia, saranno  destinate ad assumere un ruolo sempre più importante. Ad esempio, gli obiettivi di un sistema di cure domiciliari dovrebbero essere di favorire la deospedalizzazione e la permanenza del paziente con problematiche motorie o di disabilità nel proprio ambiente, garantendo un’assistenza globale e supportandolo nella fase avanzata della malattia fino alle sue fasi terminali. In quest'ultimo caso, la decisione di avviare un programma di cure palliative si dovrebbe basare su elementi decisionali quali la compromissione generale, la classe funzionale avanzata nonostante terapia farmacologica massimale, l’assenza di fattori correggibili e soprattutto la consapevolezza da parte di paziente e familiari dello stato della malattia e dell’esaurimento delle opzioni terapeutiche (anche invasive) possibili.  Per conseguire questi risultati e selezionare il tipo di cura appropriato, la valutazione clinica standard dovrebbe quindi essere completata da una valutazione multidimensionale. Il modello di cura sarà di tipo convenzionale per soggetti robusti con autonomia conservata e scarsa comorbidità, di tipo interdisciplinare per anziani più o meno fragili,  o di tipo domiciliare/palliativo  e rivolto al controllo della sintomatologia e al mantenimento della migliore qualità i vita e di indipendenza possibile per gli anziani più fragili e compromessi (15). Questo modello concettuale dovrebbe essere utilizzato anche nella selezione di pazienti candidabili a procedure ad alto contenuto tecnologico e ad alto assorbimento di risorse, quali la chirurgia dello scompenso o l’impianto di dispositivi elettrici.

 

Conclusioni

 

Lo scompenso cardiaco dell’anziano rappresenta una sfida e un importante problema sanitario che minaccia di assorbire un sempre maggior quantitativo di risorse.   Per introdurre paradigmi efficaci di cura  i Cardiologi dovrebbero mutare atteggiamento nei riguardi dell'anziano, arricchendo il  bagaglio professionale con conoscenze specifiche (43,44). I tempi sembrano maturi per una coraggiosa contaminazione tra le discipline, sia sul piano culturale che su quello organizzativo. Alcuni – in tempi di “high tech” - potrebbero pensare ad un passo indietro. Siamo ragionevolmente sicuri che per molti dei nostri pazienti si tratterebbe di un grande balzo in avanti. Su questo argomento di enorme rilevanza, il mondo clinico reale si attende segnali positivi sia dai vertici delle Associazioni Scientifiche, sia dai responsabili amministrativi e politici della Sanità Pubblica.  

 

 

Bibliografia

 

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Tabella 1. Caratteristiche  dello Scompenso Cardiaco e del fisiologico invecchiamento

 

Modificazione dei meccanismi regolatori periferici: alterazione dei riflessi regolatori dei sistemi circolatorio e respiratorio

Aritmie cardiache comuni (Fibrillazione Atriale)

Ridotta tolleranza all’esercizio fisico (ridotta richiesta di ossigeno)

Aumentato catabolismo

Riduzione degli ormoni anabolizzanti

Attivazione del sistema infiammatorio e della coagulazione (aumentati livelli di Fibrinogeno, Fattore V, VIII, IX, etc.)

Insulino-resistenza

Disturbi della nutrizione (mancanza di appetito)

Alterazioni nella composizione corporea (ridotta massa muscolare)

 

 

Tabella 2.  Differenti caratteristiche tra pazienti anziani e pazienti di mezza età affetti da Scompenso Cardiaco

Caratteristiche

Pz. di età <60 anni con Scompenso Cardiaco

Pz. di età >70 anni con Scompenso Cardiaco

Prevalenza di Scompenso Cardiaco Diastolico Isolato

6%

40-80%, due volte più frequente nelle donne

Caratteristiche Cliniche

Prevalenza di sintomi tipici dello Scompenso; classificazione funzionale NYHA utile nella diagnosi

“Maschere cliniche” di Scompenso: depressione, insonnia, palpitazioni.

Frequenti complicanze dopo PTCA e CABG

Valore prognostico del BNP (NT proBNP)

Cruciale

Ridotto (concentrazione sierica aumentata di 2-3 volte in pz.>75 anni senza Scompenso Cardiaco).

Trattamento

Ace-i, β-bloccanti, diuretici dell’ansa, spironolattone, vasodilatatori

Ace-i, Antagonisti del recettore dell’Angiotensina

Con cautela: β-bloccanti, diuretici, vasodilatatori

 

* Gruppo Operativo Interdisciplinare Scompenso Cardiaco, I Unità Operativa Cardiologia/ UTIC, Ospedale S.Camillo, Roma.

 

** II Unità Operativa di Cardiologia, Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata, Roma