IL TEMPO PRESENTE: LA CHIRURGIA DELLA PATOLOGIA LOMBARE DEGENERATIVA OGGI. MOTION PRESERVATION, TECNICHE MININVASIVE E NON FUSION.

 

F. Ricciardi

 

 

La cascata degenerativa di Kyrkaldi-Willis (1) viene scatenata in primis da processi involutivi del disco, sia a carico del nucleo polposo che dell’anulus. Di conseguenza il disco diviene meno responsivo alle sollecitazioni, si abbassa in altezza e l’anulus fibroso si allenta procedendo nel canale (fase I - degenerazione). Il persistere di questa condizione determina una maggiore sollecitazione delle apofisi articolari, perché una maggiore quantità di carico si sposta su di esse. La lassità della capsula articolare, la sublussazione ed i fenomeni degenerativi discali associati determinano, quindi, una microinstabilità del segmento di moto (fase II - instabilità). L’organismo reagisce alla instabilità cercando di immobilizzare quel segmento di moto ed appone tessuto osseo (osteofiti) ai bordi della articolazioni ipofisarie. Da questo processo di autoriparazione naturale che tende ad una sorta di stabilizzazione del segmento di moto possono derivare tutta una serie di complicazioni a carico delle radici nervose contenute nel canale vertebrale e nei neuroforami, come la stenosi (fase III – ristabilizzazione).

Le intense ricerche degli ultimi anni su tali meccanismi degenerativi hanno permesso di riconoscerne gli aspetti clinici e radiografici (2, 3); il progresso tecnologico ha fatto tesoro di queste conoscenze, sviluppando tecniche e mezzi terapeutici che consentono di intervenire selettivamente nelle diverse fasi della cascata degenerativa.

Nella prima fase il principale “pain generator” è il disco patologico. A seconda del diverso grado di degenerazione discale (bulging, protrusione, ernia od ernia espulsa), varie sono le opzioni terapeutiche a disposizione. La semplice erniectomia con discectomia parziale resta lo standard di cura. Essa può essere effettuata con un approccio open o minimamente invasivo e non vi sono evidenze che dimostrino la superiorità di uno dei due tipi di chirurgia sul lungo termine.

In tempi più recenti, varie altre metodiche sono state messe a punto come ad esempio le terapie intradiscali (nucleolisi con iniezione di chimopapaina; la nucleotomia percutanea manuale; la vaporizzazione termica con laser; la nucleoplasty con tecnica Coblation; la terapia elettrotermica intradiscale – IDET -); tutte queste metodiche non ristabiliscono l’altezza discale e, pertanto, non arrestano la cascata degenerativa. Altra opzione è rappresentata dai dispositivi interspinosi, che scaricano la eccessiva pressione sulle articolazioni ipofisarie che deriva dall’abbassamento discale, limitano i movimenti di estensione della colonna e determinano un aumento dei diametri canalari. In ascesa è la stabilizzazione dinamica, che consente di aumentare la distanza tra le due vertebre, ripristinando l’altezza discale e scaricando le articolazioni ipofisarie, e contemporaneamente impedisce una eccessiva mobilità delle vertebre. In fase di declino è, invece, l’artroplastica (sostituzione del disco naturale con disco artificiale che conserva la mobilità dell’articolazione) per le elevate complicanze intraoperatorie evidenziate.

Nella seconda fase il dolore è dovuto alla instabilità cui frequentemente si associa la compressione radicolare. In questo caso l’opzione di scelta è rappresentata dalla stabilizzazione, che può essere rigida (aumenta la stabilità del segmento di moto, specie se associata ad una fusione intersomatica che ripristina anche l’altezza discale, e la possibilità di riduzione, ma aumenta anche il rischio di patologia di contiguità) o dinamica (distanzia ed immobilizza le vertebre senza fonderle, mantenendo un certo grado di mobilità al segmento di moto). Ad entrambe può essere associata la decompressione delle strutture nervose endocanalari.

Nella terza fase l’aspetto preminente è la compressione radicolare; ad essa, in alcuni casi, può associarsi l’instabilità. In questo caso il trattamento di scelta è rappresentato dalla decompressione delle strutture nervose endocanalari. Tra le varie opzioni ricordiamo la interemilaminectomia, l’emilaminectomia e la laminectomia. Il gold standard è rappresentato dalla laminectomia senza fusione. Vari studi dimostrano come i pazienti trattati chirurgicamente presentino un iniziale netto miglioramento dei sintomi; tuttavia tale miglioramento svanisce nel tempo, probabilmente per la progressione della degenerazione. In caso di instabilità alla laminectomia può associarsi una stabilizzazione.

Un aspetto da ricordare è che spesso è difficile lo staging della cascata degenerativa, soprattutto per la coesistenza nello stesso paziente di aspetti diversi del processo degenerativo (discopatia, faccettopatia, ernia, stenosi, listesi, etc.) e ciò determina anche difficoltà nella scelta terapeutica appropriata.

Negli ultimi dieci anni si è osservato un particolare sviluppo delle tecniche mininvasive. Fondamentalmente le novità sono state rappresentate dalla introduzione delle tecniche percutanee e di stabilizzazione dinamica.

Indubbiamente le tecniche percutanee presentano alcuni vantaggi rispetto alle tecniche open. Il primo, e forse anche il principale, è rappresentato dalla preservazione del muscolo; infatti con questa tecnica il muscolo non viene scollato dalle lamine, ma gli strumenti chirurgici sono introdotti attraverso le fibre muscolari. Ciò determina la conservazione della forza muscolare, meno dolore nell’immediato post-operatorio, degenze più brevi ed una rapida ripresa delle normali attività quotidiane; si riduce anche il rischio infettivo e, forse, il low back pain a distanza. Il secondo aspetto fondamentale è quello di una riduzione delle perdite ematiche intraoperatorie (poche decine di cc di sangue a fronte di alcune centinaia di cc nelle tecniche open) e ciò riduce il rischio di trasfusioni. I limiti sono rappresentati dalla impossibilità alla decompressione ed alla artodesi se non in associazione con tecniche mini-open o mini-invasive; dalla scarsa possibilità di riduzione; da scarsi risultati se la stenosi canalare è superiore al 30% o se la listesi è superiore al grado I; dalla radioesposizione del paziente e degli operatori.

Le tecniche di stabilizzazione dinamica traggono impulso dalla osservazione secondo cui se un disco in fase iniziale di degenerazione viene stabilizzato mediante un sistema esterno al disco stesso  che impedisce i movimenti anomali mantenendo la normali escursioni, questo disco guarisce. Le ricerche sono ancora in corso, ma visti questi dati iniziali sembra opportuno evitare, per togliere il dolore al paziente, qualsiasi intervento che leda ulteriormente il disco. Esistono diversi tipi di dispositivi tra cui ricordiamo il sistema Dynesis e gli spaziatori interspinosi-interlaminari.

Il sistema Dynesis si avvale di una componente spaziatrice, per aumentare l’altezza discale e scaricare le apofisi articolari, e di una componente tensile che impedisce una eccessiva mobilità delle vertebre. Tale sistema si basa sull’utilizzo di viti transpeduncolari e, perciò, ad esso può essere associata la decompressione; riduce lo stress meccanico di dischi e faccette articolari adiacenti (riduzione della sindrome giunzionale); il micromovimento attraverso le end plates favorisce la fusione.

Il concetto dei dispositivi interspinosi-interlaminari si basa sull’osservazione che in molti pazienti affetti da stenosi del canale lombare la sintomatologia dolorosa migliora con i movimenti di flessione del tronco. Esistono diverse tipologie di dispositivi, che si differenziano per i materiali di costruzione e per le modalità di inserimento (percutanee o mini-invasive) ma tutti con in comune il meccanismo di distrazione dei processi interspinosi, che consente il ripristino dell’altezza discale, la riduzione dello spessore del legamento giallo e, quindi, l’aumento dei diametri del canale vertebrale. Tali dispositivi, inoltre, limitano anche l’estensione della colonna mantenendo le normali capacità di rotazione e flessione del rachide. Questi effetti determinano la riduzione o la scomparsa della sintomatologia dolorosa.

 Nel nostro Istituto, nei casi di soft stenosis, si utilizza un nuovo dispositivo elastico interlaminare di tipo INTRASPINE in dimetil siloxano ricoperto da una camicia di polietilene.

Nella stenosi del canale il maggiore responsabile del restringimento dei diametri canalari è il legamento flavo (o legamento giallo) che aumenta di spessore (molto raramente si osserva una vera ipertrofia) e, in seguito alla degenerazione discale con perdita dell’altezza, accentua la sua sporgenza all’interno del canale soprattutto in condizioni di carico (4). Nei movimenti di estensione del rachide, inoltre, le due metà del legamento flavo si avvicinano sulla linea mediana restringendo ulteriormente il diametro sagittale del canale vertebrale. Il concetto del dispositivo Intraspine è che con il suo appoggio interlaminare, quindi più vicino al centro di istantanea rotazione del segmento, determina una decompressione dinamica del canale con aumento dei diametri sia dei neuroforami che del canale vertebrale. Inoltre, la parte posteriore permette di aprire lo spazio interspinoso onde restaurare, grazie anche alla tension band posteriore una buona lordosi del segmento impiantato.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

1)      W. H. Kyrkaldi-Willis, Thomas N. Bernard Managing low back pain. Churchill Livingstone 1999;

2)      Coppes et al. – Innervation of  “painful” lumbar disc _ SPINE 22(20) : 2342-2349, October 15, 1997;

3)      Christian W.A. Pfirrmann et al. – Magnetic Resonance classification of lumbar intervertebral disc degeneration –SPINE vol. 26, number 17, pp. 1873-1878, 2001;

4)      Factors associated with the thickness of  the ligamentum flavum. Is ligamentum flavum thickening due to Hypertrophy or buckling? – SPINE vol 36, number 16, pp E1093-E1097, 2011;

 

 

 

PER LA CORRISPONDENZA:

Dott. Francesco Ricciardi

Dipartimento di Neurochirurgia IRCCS NEUROMED Pozzilli (IS)

 

e-mail : fricciardi1@yahoo.it