NUTRIZIONE E DEMENZA: CAUSA ED EFFETTO

A. Servello

 

Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza, Università di Roma

 

 

Il termine deficit cognitivo indica una condizione clinica caratterizzata da una riduzione apprezzabile delle prestazioni cognitive riferita dallo stesso soggetto e/o dai familiari e/o riscontrata dal medico, la cui espressività sul piano fenomenologico varia entro un ampio spettro: da deficit lieve di una o più funzioni cognitive, a quadri patologici gravi ed altamente disabilitanti come la franca demenza. Identificare i fattori di rischio per il deficit cognitivo è un compito alquanto complesso, ma è indubbio che considerare contemporaneamente una molteplicità di fattori di rischio può aumentare l’accuratezza diagnostica nella fase preclinica (1). Le lesioni patologiche caratteristiche della demenza sembrano presentarsi molti anni prima che la malattia divenga clinicamente manifesta (2). Questa constatazione ha condotto numerosi studiosi ad effettuare studi volti ad individuare fattori protettivi e fattori in grado di funzionare come trigger della presentazione clinica della malattia (3). Sono molteplici le evidenze che mettono in primo piano il ruolo della nutrizione nel declino cognitivo, specialmente durante l’invecchiamento (4). Il mantenimento di una buona performance cognitiva nel corso del tempo sarebbe difatti correlato ad un adeguato apporto di nutrienti attraverso una dieta sana ed equilibrata. Sia l’apporto in difetto che in eccesso di specifici nutrienti quali l’acido docosaesaenoico, la colina, le vitamine del gruppo B e di altre sostanza con funzione antiossidante si è dimostrato in grado di alterare il trofismo neuronale con conseguente disfunzione sinaptica. Sicuramente la nutrizione assume un ruolo fondamentale in tutti i momenti della storia clinica della patologia (5). Nella fase preclinica il giusto apporto dei singoli nutrienti è stato ampiamente dimostrato essere un fattore protettivo; durante la fase intermedia di malattia il corretto bilancio nutrizionale è in grado di evitare la comparsa di gravi carenze e di stati di malnutrizione in grado di influire negativamente sulla gestione del malato e sul decorso clinico della malattia; nella fase terminale di malattia le problematiche correlate all’alimentazione divengono la parte più importante da gestire e spesso la priorità assistenziale.

Fase preclinica:

Numerose evidenze scientifiche mostrano come uno scorretto stile di vita alimentare sia da considerarsi un vero e proprio fattore di rischio per lo sviluppo di demenza. E’ ormai noto il ruolo fondamentale svolto da alcuni nutrienti nel prevenire o posticipare il deficit cognitivo (6). Nel corso degli anni è stato studiato e confermato il ruolo protettivo di numerose sostanze quali le vitamine del gruppo B, la vitamina E e l'acido docosaesaenoico, o DHA, acido grasso essenziale della serie omega 3 presente nel pesce, in particolare nel tonno, nel salmone, nelle aringhe e nelle alici, e in percentuali maggiori nell'olio che si ricava da essi. La qualità generalmente più riconosciuta a questo tipo di grasso è la capacità di ridurre i livelli ematici di trigliceridi e quindi il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, mentre le vitamine del gruppo B, vitamine idrosolubili che intervengono nel metabolismo cellulare, hanno un ruolo essenziale nel corretto funzionamento del sistema nervoso e nel metabolismo di carboidrati e lipidi. La vitamina E, denominata anche tocoferolo, è un potentissimo antiossidante liposolubile, presente nella frutta, nell’olio di oliva e nell’olio di germe di grano. Le Vitamine del gruppo B si trovano in alimenti come il lievito di birra, il germe di grano, fegato, frattaglie, riso intero, grano intero, legumi, banane, tuorlo d’uovo, carne di maiale, tonno, ortaggi freschi, patate. Da ciò ne deriva la raccomandazione di assumere almeno cinque porzioni al giorno di frutta e verdura, quattro porzioni al giorno di carboidrati a basso indice glicemico, due porzioni al giorno di latte, tre porzioni a settimana di pesce, carne, formaggi con solo in piccole quantità l’assunzione di zucchero e sale. Numerosi studi hanno dimostrato come i gruppi di soggetti che assumono in elevate quantità sostanze ricche di vitamine del gruppo BCD ed E e acidi grassi insaturi presentano migliori performance ai test di valutazione cognitiva con miglioramento delle funzioni esecutive, della memoria, dell’attenzione e delle capacità visuo-spaziali (7). Da tutto ciò lo sviluppo di trials farmacologici volti a valutare l’assunzione terapeutica della vitamina E, del selenio e dei farmaci in grado di interferi con i processi metabolici quali la metformina, il rosiglitazone e l’insulina in somministrazione intranasale sulle funzioni cognitive. Per capire quanto sia importante un corretto apporto nutrizionale  sulle funzioni cognitive facciamo riferimento agli studi effettuati sulla popolazione di un’isola giapponese, Okinawa, che ha la caratteristica di essere l’isola con il maggior numero di ultracentenari in buone condizioni fisiche e cognitive al mondo. Okinawa rappresenta un vero e proprio modello di invecchiamento di successo. La popolazione residente nell’isola presenta un’età media di 85 anni, con 35 centenari ogni 100 abitanti con la caratteristica di essere in ottime condizioni psico/fisiche. Vi è il riscontro, inoltre, di una bassissima percentuale di malattie oncologiche, dementigene e cardiovascolari. Tali caratteristiche di longevità si perdono però nei familiari emigrati al di fuori dell’isola. Si è cercato di capire quali sono le condizioni che predispongono a tale eccezionale caratteristica e l’attenzione degli studiosi si è concentrata sullo stile di vita e sulla dieta praticata dagli abitanti dell’isola che consiste nello specifico nell’assunzione di 100 gr al giorno di pesce, in un elevato consumo di cereali a basso indice glicemico, nell’elevata assunzione di konbu (alga ricca di sali minerali), frutta, verdura, soia (ricca di fitoestrogeni) e spezie (in particolare curcuma) con totale assenza di carne e sale ed un consumo medio di calorie di 1900/die, contro le 2600/die di un soggetto americano. Ebbene nella popolazione di Okinawa l’incidenza di demenza di Alzheimer è sette volte minore rispetto al resto del mondo. Il profilo ematochimico degli abitanti dell’isola mostra bassissimi livelli di omocisteina e colesterolo ed elevati livelli ematici di DEHA, testosterone ed estrogeni. Lo stile di vita degli abitanti dell’isola si sintetizza nella frase “Hara Hichi Bu” che letteralmente significa “mangiare finchè si è sazi per otto parti”. La formula vincente si tradurrebbe quindi in un ridotto apporto calorico giornaliero. Ad ulteriore conferma di tutto ciò sarebbe la constatazione che i paesi che hanno visto modificarsi nel corso degli anni le abitudini alimentari come il Giappone presentano un tasso di incidenza della malattia di Alzheimer ormai vicino a quello degli altri paesi del mondo. Difatti in Giappone si è assistito nel corso degli ultimi decenni ad importanti cambiamenti sulle abitudini alimentari che hanno condotto ad un maggior consumo di l'alcool (da 29,6 a 57,4 kg/persona/anno), grassi animali (da 5 a 35 kg/persona/anno), carne (da 7,6 a 33,7 kg/ persona/anno) e ad un minore apporto di riso (da 113 a 69 kg/persona/anno), con un conseguente aumento di energia derivante da prodotti di origine animale (da 249 a 580 kcal/persona/die) (8). Tutto ciò ha portato a concludere che l’assunzione in fase preclinica di miscele specifiche di nutrienti può condurre ad un rallentamento della patologia con un notevole riduzione della manifestazione clinica della malattia ed un ritardo nella presentazione dei sintomi. Nello specifico l’assunzione giornaliera e continua di sostanze a base di miscele di EPA, DHA, fosfolipidi, colina, uridina monofosfato, vitamina E, C, B6, B12, selenio e acido folico (Fortasyn Connect), sarebbe in grado di ridurre la formazione delle placche di beta-amilode specifiche della demenza di Alzheimer a livello dell’ippocampo (9).

 

Fase clinica:

La valutazione dello stato nutrizionale diventa di fondamentale importanza durante il decorso clinico della malattia. Difatti durante la storia naturale della demenza la presenza delle alterazioni delle funzioni cognitive, comportamentali e funzionali nonché le alterazione degli organi di senso contribuiscono a creare stati di non adeguata nutrizione che possono portare, se non individuati e trattati, a situazioni di malnutrizione in grado di mettere a rischio la vita stessa del paziente. Nel paziente affetto da demenza la malnutrizione diventa una condizione frequente e spesso la prima causa di confusione mentale e di deterioramento psicorganico. Lo stato malnutritivo del paziente demente risulta spesso da un insieme di fattori che insieme contribuiscono al suo mantenimento e cioè: depressione, assunzione di farmaci, disturbi comportamentali, non adeguata preparazione del caregiver, disfagia. E’ importante contrastare i fattori predisponenti lo stato  malnutritivo mettendo in atto una serie di accorgimenti quali l’utilizzo di supporti nutrizionali, la prescrizione di farmaci che non hanno effetto anoressizzante, il miglioramento della qualità e della palatabilità dei cibi, la riduzione del rischio di polmonite da aspirazione. L’approccio nutrizionale deve essere inoltre adeguato ad ogni fase clinica e personalizzato alle esigenze e ai gusti del paziente (10).

 

Fase terminale:

Nella fase finale della malattia il sostegno nutrizionale diventa la priorità assistenziale e spesso l’unico intervento non solo possibile ma anche utile a garantire una qualità di vita dignitosa. Spesso nei pazienti in questa fase di malattia si pone la necessità di dover utilizzare un sostegno artificiale all’alimentazione. Le linee guida internazionali indicano come il supporto nutrizionale deve essere comunque garantito anche ricorrendo a tecniche di nutrizione assistita quali il sondino nasogastrico, la Gastrostomia Endoscopica Percutanea (PEG) o la nutrizione parenterale. Sempre nel rispetto del paziente è importante fornire tutto il sostegno possibile al mantenimento di un adeguato supporto nutrizionale anche se nella fase terminale della malattia ciò può condurre ad evidenti conflitti tra sostegno terapeutico ed accanimento terapeutico (11-12).

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

1.     Cumming J. Alzheimer’s Disease. N Engl J med 2004; 351:56-67.

2.     Alzheimer’s Association. 2012 Alzheier’s Disease Facts and Figures.

3.     Sperling RA, Aising PS et al. Toward defining the preclinical stages of Alzheimer’s disease. Alzheimer’s and Dementia; 2011; 7: 280-292.

4.     Palmer K, Berger A, et al. Predictors of progression from MCI to AD. Neurology; 2007 Mag; 68

5.     Weiqian M, Nick van Wijk M, Mehmet C, John et al. Nutritional approaches in the risk reduction and management of Alzheimer’s disease. Nutrition 29 (2013) 1080–1089

6.     Dauncey MJ. New insights into nutrition and cognitive neuroscience. Proc Nutr Soc 2009;68:408–15.

7.     Bourre JM. Effects of nutrients (in food) on the structure and function of the nervous system: update on dietary requirements for brain. Part 1: micronutrients. J Nutr Health Aging 2006;10:377–85.

8.     Bradley J. Willcox. The Okinawa Program: How the World's Longest-Lived People Achieve Everlasting Health--And How You Can Too; New York Timeshttp://www.assoc-amazon.com/e/ir?t=httpwwwnutr06-20&l=as2&o=1&a=0609807501

9.     Shah RC, Kamphuis PJ, Leurgans S1, Swinkels SH.The S-Connect study: results from a randomized, controlled trial of Souvenaid in mild-to moderate Alzheimer's disease. Alzheimers Res Ther. 2013 Nov 26;5(6)

10. Chaconb P,  Rosselloc J, Boadad M,  Tarragad LL, Planasa M et al. Micronutrient supplementation in mild Alzheimer disease patients Clinical Nutrition (2004) 23, 265–272.

11. Heidi K.White,MD,MHS Nutrition in Advanced Alzheimer’s Disease NC Med J July/August 2005, Volume 66, Number 4.

12. Caryn E and Elizabeth R. Dementia and Dysphagia. Geriatric Nursing, Volume 29, Number 4